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8/10

Il piano di Maggie - A cosa servono gli uomini regia di Rebecca Miller

Commedia romantica
recensione di Giulia Betti

 Maggie Hardin, è un'allegra e affidabile trentenne newyorkese, che lavora come insegnante. La vita di Maggie è pianificata, organizzata e calcolata. Maggie non ha molto successo in amore ma decide comunque che è arrivato il momento di avere un figlio. Da sola. Ma quando conosce John Harding (Ethan Hawke), uno scrittore/antropologo in crisi, Maggie si innamora per la prima volta, e così è costretta a modificare il suo piano di diventare mamma.

Questa recensione, vogliate concedermelo, la inizierò con il racconto d’una esperienza personale. Uscita entusiasta dall’anteprima de Il piano di Maggie, ho subito chiamato un po’ di amici cinefili per metterli al corrente della brillantezza dell’ultima opera della regista, moglie d’arte, Rebecca Miller. E questi (tutti) con quel pizzico di scortesia ed impazienza che solo chi molto ne sa e molto ha visto adotta in questi casi, hanno sentenziato “banale, storia trita e ritrita”, ed io che non attendevo altro, gongolante ho replicato “ragazzi, calma, era solo il primo tempo…”.

Ed è esattamente questa l’assoluta novità apportata dalla Miller al genere “commedia romantica” hollywoodiano: tallonare i personaggi nel dopo Happy Ending, e scoprire che, diversamente da ciò di cui tutti noi malinconici-romantici ci siamo sempre convinti, il bello e la bella dopo l’incontro in cima all’Empire State Building non sono tanto più felici e fortunati di noi. L’amore perfetto non esiste, o se esiste, non lo rimane permanentemente.

Un uomo infelicemente sposato (Ethan Hawke), reso passivo da una moglie capo branco (Julianne Moore) più leone che leonessa - lo notiamo anche da tutti gli indumenti pelosi che le fanno in ogni scena da voluminosa criniera - incontra una giovane e docile collega (Greta Gerwig), un po’ crocerossina un po’ balia che, servile ed eticamente corretta come pochi al giorno d’oggi, lo aiuta a conquistare sicurezza in se stesso e nelle proprie capacità. Presto John/Hawke finisce per credere d’essere innamorato di Maggie/Gerwig, quando in realtà s’è palesemente affezionato al modo in cui lei lo fa sentire: un artista, un uomo valido, una persona importante. L’amore è egoismo si sa, e infatti, anche la giovane e pura “suorina” si innamora perdutamente di lui perché egli le chiede implicitamente d’essere “materna”, assumendo gli atteggiamenti infantili da bisogno d’attenzione che tanto lo fanno assomigliare a quell’ipotetico figlio che ella stessa desidera.

Lui s’è stancato di fare il Giardiniere, e desidera essere la Rosa. Lei s’è stancata d’accudire se stessa e sente il bisogno di riversare le sue attenzioni su un piccolo individuo mini-sé. L’altra, egocentrica e prima donna, senza più marito-maggiordomo al suo servizio, decide di sfruttare la sua rabbia e il suo dolore per dare vita all’ennesimo successo accademico-letterario pubblicando un saggio d’analisi sul suo matrimonio sfasciato.

Ma bastano due anni per capire come i ruoli si siano improvvisamente ribaltati. John è diventato la prima donna calamita d’energia e di attenzioni ma incapace di successo, Maggie si è trasformata nella mogliettina passiva e servetta a tempo pieno all’ombra del marito, e Georgette/Moore è la donna sola che tenta disperatamente e in maniera fallimentare di prendersi cura di se stessa.

Il personaggio della Gerwig, forse il più lucido e razionale fra tutti, pur rimanendo quello di una maniaca del controllo, capisce a questo punto che c’è bisogno di ristabilire gli iniziali equilibri, ed escogita un piano per rammendare gli strappi e portare tutto alla situazione di partenza, ma naturalmente non sarà così semplice.  

Maggie è una persona piuttosto logica, pura, lineare e vera e tutte queste cose continuano a guidare la sua vita, ma il fatto che lei capisca che ci sono cose che sfuggono al suo controllo è la rivelazione al centro di questa storia” (Greta Gerwig)

Una fresca commedia romantica che analizza le imprevedibili complessità dell’amore moderno questa della Miller, regista e sceneggiatrice molto amata dalla critica (La storia di Jack e Rose, The private lives of Pippa Lee), che decide di sfruttare l’originale storia di Karen Rinaldi ed un cast superlativo, per esplorare l’interdipendenza nel matrimonio, nell’amicizia, nella maternità e della comunità.

Essenziale per il successo di un film, soprattutto se si tratta di una commedia, è la scelta di un buon cast. La Miller, come ha più volte rivelato nelle interviste con la stampa, ha l’abitudine di cucire un ruolo su misura dell’interprete selezionato, e questa scelta registica è assolutamente tangibile ne “Il piano di Maggie”. Sia la Gerwig che Ethan Hawke, oltre ad essere attori, sono scrittori ed hanno avuto esperienze registiche, e ciò ha sicuramente contribuito alla scrittura psicologica e caratteriale del proprio personaggio. Greta Gerwig dimostra d’avere tempi comici meravigliosi pur rimanendo assolutamente realistica nell’espressione delle emozioni, ed anche Hawke, per la prima volta in trent’anni di carriera diretto da una donna, torna a recitare in una commedia dai tempi di Giovani, carini e disoccupati, e lo fa ottenendo distinti risultati. Ma il più divertente in assoluto è il personaggio diverso ed esotico (una fredda e rigida donna danese) interpretato da Julianne Moore, che si cimenta in un fortissimo accento straniero davvero irresistibile (quindi mi raccomando, cercate la proiezione in versione originale).

Il piano di Maggie è una commedia senza cliché che si screma dagli stereotipi classici delle protagoniste femminili delle tradizionali commedie romantiche; i personaggi sono freschi ed affascinanti, ma comunque complessi ed anticonvenzionali e i dialoghi, imbastiti sulla vita quotidiana e gli aspetti pratici e caotici delle moderne famiglie allargate, raggiungono vette di pura e squisita comicità risultando mai banali.

 

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