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8/10

Revivre regia di Im Kwon-taek

Drammatico
recensione di Alessandro Giovannini

Oh Sang-moo (Ahn Sung-ki) è un uomo di mezza età, a capo della divisione marketing di un'azienda di cosmetica é in un periodo di transizione della sua vita, non solo anagraficamente: la moglie è malata terminale, e lui fa la spola tra l'ufficio e l'ospedale dove la assiste come può assieme alla figlia. In questo penoso contesto, Sang-moo rimarrà conturbato dalla nuova segretaria Choo Eun-joo (Kim Qyu-ri), sulla quale fantasticherà, in preda ad una smania di vivere che si opponga all'atmosfera mortifera che sta respirando in famiglia. Quali conseguenze avrà questa infatuazione?

Che bello quando si esce da una sala consci di aver assisito alla nascita di un nuovo autore. Altrettanto bello è uscire dalla sala appagati per aver visto il film di un autore già affermato, quello che si potrebbe chiamare "maestro": maestro nell'arte del dirigere gli attori, di sapere sempre dove posizionare la macchina da presa per ottenere il risultato migliore possibile, maestro sia nell'arte del mettere che in quella del togliere, per arrivare ad un perfetto equilibrio narrativo e stilistico, un equilibrio che ti fa sia godere la storia che apprezzare la tecnica, senza che una delle due componenti prevarichi l'altra, scadendo nella bella storia mal raccontata o nell'esercizio di stile fine a sè stesso.

Im Kwon-taek, classe 1936 e qualcosa come 100 regie all'attivo, può ben essere considerato un maestro: uno che ha percorso buona parte della storia della cinematografia coreana (iniziata negli anni '20, ha avuto un boom industriale dagli anni '50) sia dal punto di vista del cinema di intrattenimento sia da quello del film autoriale. Preciso che io non ho visto altri film di Im, ma dalla visione di Revivre appare evidente tutta la sua padronanza del mezzo. In questa vicenda che poteva essere affrontata in molti modi, il regista opta per un film sì drammatico, ma anche pieno di speranza e gioia di vivere. Non aspettatevi un racconto pruriginoso sulle voglie di un uomo di mezza età, tantomeno un melodramma strappalacrime che, dato l'argomento, poteva essere una strada allettante per suscitare facili commozioni in platea. La virtù del giusto mezzo è di difficile applicazione, ma qui ci si è riusciti in pieno, già a partire dalla scrittura del film, impostata su dialoghi naturalistici ed il rifiuto di ogni spettacolarizzazione delle emozioni rappresentate. La regia non ha bisogno di stringere su primi piani opprimenti e claustrofobici per farci apprezzare le espressioni dei personaggi: sovente la macchina è fissa (espediente ormai usato sempre meno, e spesso da registi di una certa età che sanno il fatto loro), tuttalpiù con qualche leggero movimento sull'asse, quasi sempre in campo medio, con rari avvicinamenti agli attori che sono spesso soggettive di altri personaggi (come lo sguardo di Sang-moo che si perde tra le curve sensuali di Eun-joo).

Da questa distanza Im ci rende partecipi, senza forzature ideologiche per questo o quel personaggio, per questa o quella condotta morale, delle sorti dei protagonisti del film: i loro drammi ci impietosiscono, le loro debolezze di inteneriscono e la loro voglia di vivere ci entusiasma. Il personaggio di Sang-moo è perfetto nella sua credibilità: un uomo che vive un terribile momento nella sua vita ed il cui piacere per la vita (che forse nemmeno lui si ricordava di aver un po' affogato nella routine quotidiana) emerge in un'infatuazione ingenua, quasi adolescenziale, che non è tanto brama per la giovane ed avvenente donna con cui si trova a condividere il posto di lavoro, bensì un più generico desiderio di libertà, di voglia di ricominciare un'esistenza più felice e completa. Tutto ciò accade mentre la moglie è ancora viva, e condannata ad un'orribile agonia: Sang-moo si occupa di lei, forse più per senso del dovere che per amore autentico. Im non ci nasconde affatto questo lato della personalità dell'uomo, che non condanna nè assolve; il tentativo autoriale è quello di consegnarci un personaggio a tutto tondo, fatto di luci ed ombre, come ogni essere umano. In questo modo il giudizio finale è affidato a ciascuno di noi, ma Im ci rende possibile (ci chiede di) entrare in totale empatia con il protagonista prima di esprimere un verdetto.

Revivre è l'esempio di come un soggetto piuttosto comune, nelle mani di un regista esperto possa dar vita ad un grande film. Menzione obbligatoria per tutto il cast principale, in particolare Kim Ho-jung nei panni della moglie malata: un'intepretazione da brividi.

 

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