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8/10

Revanche regia di Götz Spielmann

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Storia di una prostituta ucraina e del suo amante Alex (che lavora in un bordello) che volendo cambiar vita decidono di mettere in atto una rapina, ma non tutto va secondo i loro piani...

Non stupisce che Revanche sia stato tra i film candidati al premio oscar per il miglior film straniero nel 2009. Non ci si sorprende perchè un'opera di simile profondità, intensità e tragico realismo è qualcosa di magistrale e che colpisce dritto allo stomaco, per poi salire a stritolare lentamente il cuore dello spettatore.

Fin dall'inizio infatti non può non colpire il modo in cui viene ritratto l'ambiente degradato in cui vivono e lavorano Alex e Tamara, entrambi alle dipendenze (pur con ruoli diversi: prostituta la prima, autista il secondo) del pappone Konecny. E' soprattutto il ritratto della prostituta ucraina che sconvolge, esposta nella nuda e cruda realtà di uno sdoppiamento tra il sesso fatto per amore con Alex e quello morboso, spesso violento e freddo svolto per lavoro con i clienti.

Il tutto è ripreso da Spielmann in maniera lucida, spietata, quasi documentaristica, adottando ora soggettive drammatiche (pensare alla sequenza in cui con gli occhi di Alex vediamo Tamara chinarsi e slacciare i pantaloni al proprio capo), ora inquadrature statiche bruscamente interrotte da cambi di scena improvvisi. Il tutto raccontato (e questo è il grande merito dell'autore) senza scadere in facili e inutili sentimentalismi. L'atmosfera rimane sempre in bilico tra brivido dell'azione, sensualità più o meno naturale, senso dell'avventura, dramma da camera e fugaci momenti di felicità e gioia.

E' un equilibrio stilistico che produce effetti elettrizzanti, lasciando continuamente col fiato sospeso per la possibilità che la trama devii in qualsiasi momento verso svolte impreviste e repentine.

Quando ciò avviene termina un film e ne inizia un altro: completamente diverso eppure non meno ammaliante e fascinoso. La seconda metà dell'opera infatti devia completamente sia localmente (con il passaggio dalla città alla campagna), che temporalmente (il ritmo della vita non è più quello lavorativo precedente, ma diventa il ritmo di vita contadino) e soprattutto sentimentalmente (dall'amore e passione si passa alla rabbia, alla ricerca della revanche, tema dell'opera).

Anche i personaggi cambiano, lasciando Alex come unico punto di riferimento rimasto allo spettatore. I ritmi si allungano, la scenografia muta, arricchendosi dei colori autunnali, del lavoro manuale; il rustico e il popolano fanno il loro ingresso nella vita di Alex tramite la legna da spaccare ma soprattutto tramite la figura del suo vecchio padre, che diventa sempre più la sua nemesi in chiave futura.

Perchè però il protagonista riesca a capire ciò è necessario che compia un suo percorso interiore, fatto di rapporti sessuali sterili e vuoti e della presa di coscienza delle proprie responsabilità passate. Il film si chiude quindi come un romanzo di formazione. Senza choc finali ma senza neanche quel lieto fine manzoniano-hollywoodiano cui siamo stati abituati. E' anche questo che fa grande l'opera di Spielmann: che fino all'ultimo non sei sicuro di quel che possa accadere, nonostante di fatto accada pochissimo.

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