R Recensione

8/10

Il Coltello in Testa regia di Reinhard Hauff

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

Il giovane biogenetico Berthold Hoffmann viene coinvolto in una sparatoria e rimane gravemente offeso. Sottoposto a cure riabilitative viene tenuto sotto sorveglianza dalla polizia in quanto ritenuto un pericoloso terrorista. Solo la sua costanza lo aiuterà a scagionarsi dalle accuse rivoltegli e la sua passione lo porterà a farsi giustizia da sé.

Il coltello in testa è un film girato alla fine degli anni ’70 dal regista tedesco Reinhard Hauff, nel clima di sospetto e di terrore scatenato in Germania dal terrorismo rosso. Altri film  ci avevano parlato con taglio più giornalistico di queste vicende, insistendo sul dilemma morale che scuoteva i protagonisti; penso in particolare a Germania in autunno,  superba opera collettiva espressione del miglior cinema tedesco dell’epoca e al più tardo, ma egualmente magnificamente messo in scena Anni di Piombo.

Il coltello in testa esce da questi binari e si avvicina ad un film di genere, o meglio prende spunto dalla realtà per narrarci una storia di finzione: il giovane biogenetico Berthold Hoffmann rimane coinvolto in una sparatoria presso il centro giovanile ove lavora la moglie. La polizia sospetta che sia coinvolto in fatti di sangue che riguardano i terroristi rossi e lo tiene sotto stretta sorveglianza mentre è in degenza presso un ospedale nel reparto di neurochirurgia, dove si sta recuperando dal trauma causato da un proiettile sparatogli in testa a bruciapelo da un poliziotto.

La narrazione degli eventi è serrata, penso soprattutto all’introduzione che assume un tono didascalico, quasi televisivo, per poi lasciare spazio ad una maggiore tranquillità e un timbro più cinematografico, dove il montaggio del grande Peter Przygodda (già montatore di alcuni capolavori del cinema tedesco, penso soprattutto ai film di Wim Wenders) ha arte nel non far perdere mai il ritmo alla vicenda.

Su tutti giganteggia la figura del protagonista incarnato da uno splendido Bruno Ganz, che non lesina le sue doti attoriali per incarnare questa figura di uomo in fieri che deve ritrovare sé stesso e scagionarsi dalle gravi accuse portate nei suoi confronti. Sarà il racconto di una resurrezione, ma anche delle difficoltà insormontabili che Berthold deve affrontare, pur circondato dall’affetto della moglie  (interpretata qui da Angela Winkler) e delle infermiere che non mancheranno di prestare tutte sé stesse (forte la scena dell’ironico spogliarello dell’infermiera Angelika) per permettere una pronta guarigione e che lasceranno Berthold libero di fuggire e di riconquistarsi la propria libertà.

In pieni anni ’70 il nudo anche integrale non sembra preoccupare il regista che utilizza questi inserti per proclamare la piena umanità del protagonista, e la voglia di ritornare alla normalità. Simpatia ed ironia accompagnano la figura di Hoffmann pur di fronte alla tragicità del suo destino.

Il clima di terrore viene fomentato dalla stampa che fa di Hoffmann una figura di terrorista affascinante perché dotato di una doppia vita e di passioni che lo rendono più simpatico al pubblico come quella per il violino. Hoffmann rivendica la propria dignità, non ha paura di perdere la propria posizione ed è persino pronto a farsi giustizia da sé recandosi a far visita al poliziotto che lo ha colpito e che per codardia si è scagionato affermando che il biogenetico lo aveva colpito con un coltello.

Nel finale le parti si invertono e Hoffmann ha la possibilità di minacciare con una pistola il giovane poliziotto, mentre questi fa la vittima e cerca di difendersi con dei coltelli. Il finale rimane aperto: non sappiamo se alla fine Hoffmann si farà giustizia od avrà invece pietà; proprio come all’inizio i fatti che danno vita alla vicenda non vengono espressamente manifestati, ma solo tratteggiati per ellissi e cesure.

Nel complesso una pellicola efficace che rimane impressa per la buona tecnica generale e per la determinazione del regista nel raccontarci una storia particolarmente significativa se contestualizzata alla Germania della fine degli anni ’70 colpita dalle vicende della RAF. Cinema e politica vanno a braccetto e la polemica mai troppo velata mostra una critica acuta al sistema poliziesco di quegli anni capace di colpire anche il cittadino più onesto.

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