T Trailer

R Recensione

8/10

Toy Story 3 La Grande Fuga regia di Lee Unkrich

Animazione
recensione di Alessandro Pascale

Andy, ormai cresciuto, parte per il college. Tuttavia è ancora affezionato ai suoi giocattoli e decide di conservarli in soffitta. Per un disguido però questi rischiano di finire nell'immondizia salvo poi finire in un asilo nido. Toccherà a Woody cercare di convincere i suoi amici a tornare da Andy, ma se convincerli non sarà facile ancor meno lo sarà riuscire a "evadere" dall'asilo di cui si scoprono tutti prigionieri...

Ormai non ci sono più parole per esprimere gratitudine verso la Pixar, che negli ultimi anni ci ha regalato talmente tanti gioielli da oscurare prepotentemente il marchio assai ingombrante e idilliaco della Disney. Anche Toy Story 3, nonostante i rischi di un’opera distante ormai molti (-troppi) anni dal secondo episodio (Woody e Buzz alla riscossa data 1999) e di un conseguente rischioso flop per i soliti ovvi motivi (Shrek ci insegna che se è già difficile dare un degno seguito ad un esordio fortunato ancor più facile è cadere nell’autoreferenzialità e nel dubbio gusto quando ci si ricicla in tragiche “saghe”) riesce infatti a fare centro per l’ennesima volta, riuscendo a rispolverare il “fanciullino” (ah Pascoli…) presente in ognuno di noi senza farci regredire ad uno stato pre-razionale.

La potenza di queste opere in effetti è propria questa: riuscire costruire una struttura in cui stanno insieme senza problemi facili espedienti giocosi, valori universali, trame comprensibili da chiunque e contestualizzabili ad un livello elementare per i bambini, ad uno più complesso per gli adulti. Prendiamo quest’ultimo aspetto e cerchiamo di spiegarci meglio: l’idea di un gruppo di individualità prigioniere in un asilo nido è elementare, permettendo anche ad un bimbo di cinque anni di riconoscersi emotivamente nei protagonisti. Il grande orsetto rosa Lotso diventa nient’altro che il contraltare della maestra crudele e cattiva che impedisce di realizzare ogni istanza libertaria (anarchica) più o meno logica e per questo tipica di ogni bambino.

Vista ad un livello più complesso però la trama si riallaccia in maniera colta al grande cinema di guerra nella sua versione più idealistica e meno violenta (pensiamo a opere come La grande fuga o Fuga per la vittoria) e permette al “vecchio” di lasciarsi andare ai ricordi, riflettendo ad esempio sul modo in cui possano nascere delle “dittature celate” in mondi apparentemente utopici e perfetti (dittature dell’immagine, ne sappiamo qualcosa in Italia…), oppure su come una delusione esistenziale possa mutare radicalmente una persona fino a farla diventare il “male puro”: pensiamo alla delusione di Hitler quando venne bocciato per due volte di fila all’esame di ammissione all’Accademia delle Belle Arti tra 1907 e 1908…non la prese molto bene…

Diversi livelli di interpretazione che però sarebbero sterili se non ci fosse quella capacità superba di dare ritmo e plasticità alla visione, giocando con un fotografia ed uno straripante uso del colore, effervescente ed eccitante come solo il mondo dei balocchi può essere. Grande merito quindi al regista Lee Unkrich (che aveva già girato Toy Story 2 prima di affinarsi ulteriormente con Monsters & Co. e Alla ricerca di Nemo), ma anche a John Lasseter (soggetto) e Michael Arndt (sceneggiatura) per la loro capacità di chiudere in maniera brillante una storia non semplice, che parte dalla triste constatazione di una non voluta ma inevitabile separazione tra il gruppo di giocattoli e il loro amato padrone umano non più bambino. Nota di merito per il citazionismo finale riguardante Guerre Stellari, Il ritorno dello Jedi e per l’ormai famosissima scena in cui Barbie e Ken si incontrano. La costruzione di questi due personaggi è probabilmente la ciliegina di una torta già squisita di suo. Il che non guasta, che di buon cinema non si è mai sazi.

V Voti

Voto degli utenti: 9,1/10 in media su 8 voti.

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.