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6/10

High Life regia di Gary Yates

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

1983: Dick, tossicodipendente riuscito a trovarsi un lavoro in ospedale, riesce a perderlo in cinque minuti dopo l'arrivo di Bug, disadattato e mezzo psicopatico con cui condivideva la cella in carcere. Tra una puntura di morfina e l'altra salta fuori l'idea di mettere insieme una banda e fare un colpo sfruttando le debolezze di una novità delle banche: il bancomat...

High Life si barcamena tra i toni della commedia demenziale e quelli di un grottesco cupo e desperado. I suoi personaggi rappresentano gli effetti della devastazione avvenuta nell'America nei primi anni '80 in preda alla reaganomics: paese sempre più lanciato verso l'abbandono del comparto industriale a scapito del settore finanziario-bancario. Di qui il simbolo attorno a cui ruota l'intera opera: il piano “geniale” (quasi luddista in fondo) di sfruttare le debolezze di un nuovo sistema appena entrato in uso in una piccola banca provinciale: il bancomat.

Il piano però è un disastro, e viene puntualmente stravolto in maniera rozza, disordinata e violenta. Segno che il proletariato (forse addirittura sottoproletariato, visto il livello sociale dei protagonisti) non è in grado di reagire di fronte ai cambiamenti strutturali in corso negli USA e in maniera più ampia nel mondo intero. Di qui il rifugio in un mondo fatto di morfina e di vecchie cassette di pessima musica hard-rock anni '70.

Di qui anche l'incapacità dei personaggi di relazionarsi in maniera adeguata ai propri simili, nonché un carattere che nonostante gli eccessi risulta accattivante per lo spettatore, affascinato da atteggiamenti bukowskiani o assai prossimi a certe tipologie di personaggi visti in passato nei film di Kevin Smith (Clerks) o Danny Boyle (Trainspotting).

Il tutto accompagnato da una spruzzata monicelliana (ripresa in passato anche da Woody Allen) dei ladri incompetenti di I soliti ignoti.

Il problema grosso di High Life è che risente fortemente del suo essere un filmetto indie evidentemente sotto-finanziato. La sceneggiatura e il soggetto sono stringati fino all'osso, anzi forse pure fino al midollo, tanto da rendere il film di una lunghezza appena minimamente accettabile (poco più di un'ora). Quasi un divertissement prossimo al formato televisivo del telefilm o della miniserie. E ciò è dovuto ad una serie di attori forse più adatti al piccolo schermo, oltre che ad una fotografia non propriamente cinematografica. Si salvano ritmi, tempi, dinamiche registiche e costruzione dei personaggi nel loro complesso, anche se l'incapacità di scegliere un percorso stilistico ben definito e portarlo a termine appare un altro grosso difetto del film. High Life comunque può garantire le adeguate risate allo spettatore di turno, e val bene quindi una visione poco impegnata.

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