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8/10

Basta Che Funzioni regia di Woody Allen

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

L'anziano Boris Yellnikoff (Larry David), un tempo fisico di fama internazionale, dopo aver tentato il suicidio divorzia, va a vivere da solo e cerca di isolarsi delle persone che non ritiene siano al livello del suo intelletto. Una sera rientrando a casa si imbatte in Melodie St. Ann Celestine (Evan Rachel Wood), una giovane ragazza del Mississippi scappata a New York, che mendica un po' di cibo e un posto dove passare la notte. Per l'ingenua Melodie il carattere burbero di Boris non è un problema e ottiene di poter rimanere nella sua casa fino a quando non troverà un'occupazione. Dopo avere trovato un lavoro come dog-sitter la ragazza confessa all'uomo di essersi innamorata di lui, nonostante la differenza di età e l'iniziale disapprovazione di Boris i due si sposano.

E finalmente Woody Allen si svegliò, uscì dal suo torpore autunnale e tornò ad allietarci con un film finalmente bello, che fa dimenticare noiosi drammi piatti (Sogni e delitti), fregnacciate liberal-sessuali alla Almodovar (Vicky Cristina Barcellona) e opere interessanti ma poco più che mediocri (Scoop, Match Point).

Basta che funzioni segna infatti il ritorno al suo cinema classico, quello degli anni ’70, fresco, icastico, comico ma raffinato e avanguardistico. Non è un caso infatti che il fim sia stato scritto già nei lontani anni ’70 e congelato dal regista per la morte di Zero Mostel, indicato protagonista del film.

C’è tutto il brio dell’epoca d’oro alleniana in Basta che funzioni, in cui si ritrovano tutte le usuali tematiche dell’autore: l’amore per la musica classica e jazz correlato all’odio per il variegato mondo rock; il vecchio brontolone paranoico, ipocondriaco e logorroico; la giovane bella donna che si innamora di lui per motivi inspiegabili; New York e il suo alone di città magica in grado di cambiare radicalmente le persone; la descrizione minuziosa di rapporti coniugali e amorosi dalle alterne fortune; l’uso di cliché e luoghi comuni da diffondere e sfottere ironicamente; il fine intellettualismo e psicologismo di persone e vicende mai usuali e banali.

Fermiamoci un attimo. C’è un motivo per cui ho apprezzato particolarmente l’opera di Allen. No, non è il suo protagonista, nonostante Larry David si sia rivelato un elemento perfetto per il ruolo, straordinario soprattutto nelle invettive icastiche più che nelle vicende più sentimentali. Non è nemmeno la bella Evan Rachel Wood, che raggiunge probabilmente il picco di una carriera in costante ascesa (precedenti prove in Across the universe, Alla scoperta di Charlie e The Wrestler) e che non pare destinata certo al ribasso vista una certa somiglianza (a parte il decolleté) con Scarlett Johansonn e soprattutto vista la sua splendida prova nei panni della bionda svampita e un po’ stupidotta, resa con una gestualità e capacità mimica da attrice consumata.

In realtà è il motivo centrale del film ad avermi catturato: la continua accusa all’ignoranza, all’incapacità, al banale e sconsiderato. Un’accusa violenta, che per il suo modo di realizzarsi (volutamente in forma esagerata) crea un effetto comico dissacrante, ma che andrebbe esaminata nella sua volontà rabbiosa e sconcertata verso un mondo composto in predominanza da vermetti, aborigeni, pigmei, gente che non si accorge nemmeno della propria stupidità né possiede un moto interiore che la spinge a migliorarsi. Quel moto diventa qui l’anziano Boris Yellnikoff, un tempo fisico di fama internazionale, “vicino alla nomination per nobel”, ora spietato accusatore di una società rozza, ignorante e incivile.

Mi trovo perfettamente d’accordo con la sua idea di umiliare e mettere in ridicolo l’ignoranza, specie quando questa è priva di attenuanti. In una società in cui domina l’immagine bisogna far sentire una merda chi non legge un libro, bisogna cercare di scatenare reazioni, di spostare l’attenzione sulla cultura. Quello che riesce perfettamente (e inconsapevolmente allo stesso Boris) nel momento in cui la bella e ingenua Melodie St. Ann Celestine si unisce a lui, dapprima spiritualmente poi fisicamente. Nonostante diversi successi (le “conversioni” dei genitori di Melodie) la vittoria della cultura su un mondo fatto di ignoranza, oscurantismo, pregiudizio e apparenza non è però completa, nel momento in cui Melodie si invaghisce del belloccio di turno.

D’altronde Boris non se la prende, e nell’ultimo dei suoi monologhi con il pubblico (eccezionale peraltro l’incipit iniziale con cui porta alle estreme conseguenze la finzione metacinematografica di dialogo diretto con il pubblico) non si sposta più di tanto dalla sua filosofia: qualunque cosa succeda, qualunque cosa si faccia, basta che funzioni, il resto non conta. Un tantino edonistico ma va bene così Woody!

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 7 voti.

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dalvans (ha votato 6 questo film) alle 11:40 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Sufficiente

Carino