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8/10

Viale del tramonto regia di Billy Wilder

Drammatico
recensione di Gloria Paparella

Diva invecchiata del cinema muto, Norma Desmond vive nella sua antica dimora insieme al maggiordomo Max. Lo squattrinato sceneggiatore Joe la conosce per caso e accetta di scrivere il copione del suo grande ritorno sulle scene.

Il lato nero di Hollywood raccontato in maniera grottesca e superba da Billy Wilder, che qui dirige la sua opera drammatica più intensa e meglio riuscita: dalla sequenza iniziale via via fino all’inevitabile rivelazione del tragico destino, Viale del tramonto si presenta come una dichiarazione ultima dell’aspetto oscuro e disperato del mondo dello spettacolo.

Gloria Swanson interpreta Norma Desmond, star del cinema muto che, come molti suoi colleghi, ha dovuto abbandonare le scene con l’avvento del sonoro. Joe Gillis (William Holden) è lo sceneggiatore di scarso successo che, per fuggire dai creditori che vogliono sequestrargli l’automobile, trova rifugio nella villa della diva, diventandone l’amante e contribuendo ad adattare un copione per il suo ritorno sugli schermi.

La famosa sequenza d’apertura, ovvero l’inquadratura della scritta Sunset Boulevard  e i titoli che appaiono su uno sfondo scuro in movimento, con la macchina da presa che si alza improvvisamente dall’asfalto per carrellare velocemente all’indietro, è un avvicinamento spettrale alla storia che viene raccontata; la voce fuori campo, che inizialmente appare rassicurante, è in realtà quella del cadavere galleggiante di Gillis nella piscina della villa e dalla quale partono i flashback narrativi. La maestria di Wilder sta nel giocare perversamente sul doppio registro della rassicurazione e dell’inquietudine, con la presenza di elementi o personaggi solari (Nancy Olson nella parte della brillante ragazza dell’Ufficio Soggetti Betty) e di atmosfere mortuarie che mettono in crisi le certezze.

Altro motivo del film è lo stesso che vige a Hollywood: quanto il confine tra realtà e finzione sia labile e sottile. E, così, è finto il film che Norma ha scritto, finte le correzioni che Gillis vi apporta, finte le lettere degli ammiratori (che Max, il maggiordomo nonché ex regista ed ex marito della protagonista, provvede a scrivere) ed è finta la telefonata del regista De Mille (qui nella parte di se stesso) che vorrebbe dirigere la sua opera. Questo mondo fittizio diventa totalizzante, tanto che Gillis sente il bisogno di “evadere” nel contesto reale che è fatto dall’amore per la graziosa Betty: i primi piani dei due personaggi e la musica che li accompagna sottolineano la forza drammatica del sentimento.

Lo spessore del film consiste nell’offrire la possibilità di comprendere un’era ormai morta, la fine di un “sogno americano” di cui Norma Desmond faceva parte, ovvero l’epoca del cinema muto: e quando viene proiettato Queen Kelly (La regina Kelly, pellicola del 1928 interpretata proprio dalla Swanson), lo sceneggiatore Gillis non si dimostra abbastanza profondo da capire l’importanza e la vitalità di quei fotogrammi.

Praticamente perfetta Gloria Swanson (anch’ella, come il suo personaggio, mancava dalle scene da quasi vent’anni), regina del cinema prima del suono che qui accentua la mimica facciale e gestuale per raccontare un tempo passato e dimenticato da tutti, ma non da lei. Maestosa e allo stesso tempo spaventosa nella scena finale in cui Norma scende le scale davanti alle telecamere dei giornalisti, pensando di girare la scena del suo ultimo film, quel “film-fantasma” a cui aveva lavorato: la celebre battuta finale “Mr. De Mille, sono pronta per il primo piano” esprime al meglio la doppia faccia del divismo, la sua grandezza e i suoi orrori. L’ altissima interpretazione valse all’attrice la candidatura all’Oscar del 1951 e con tre statuette vinte, tra cui Miglior Sceneggiatura, Viale del tramonto può essere ancora oggi definito “il peggior lato di Hollywood raccontato nel modo migliore”.

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