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7/10

I due volti di gennaio regia di Hossein Amini

Thriller
recensione di Gloria Paparella

Grecia, 1962. Tre esistenze si incrociano in un torbido triangolo: quella di Chester, elegante e carismatico consulente d'affari americano, di sua moglie Colette, giovane seducente e inquieta, e di Ryal, una guida turistica in fuga dai fantasmi del passato. Tra le rovine del partenone, Ryal resta affascinato dalla bellezza di Colette e impressionato dalla ricchezza del marito. Ma non tutto è come sembra: l'apparenta affabilità di Chester nasconde un labirinto di segreti, sangue e bugie. Gli eventi prendono una piega sinistra e, dopo un omicidio, in un crescendo di tensione e mistero, nessuno dei tre avrà più sotto controllo le proprie emozioni e i propri istinti...

Dalla penna di Patricia Highsmith, autrice dell’omonimo romanzo (oltre che de Il talento di Mr. Ripley), I due volti di gennaio è un thriller ambientato nella Grecia e Turchia degli anni Sessanta, in cui il mondo circostante riflette lo stato psicologico e più intimo dei personaggi.

L’affascinante coppia di americani, Chester MacFarland (Viggo Mortensen) e sua moglie Colette (Kirsten Dunst) sono turisti ad Atene ed incontrano Rydal (Oscar Isaac), un giovane americano che lavora lì come guida turistica, raggirando e imbrogliando le turiste. Attratto da Colette e dalla ricchezza del marito, Rydal decide di aiutarlo a sbarazzarsi di un uomo morto; ma gli eventi prendono una piega più sinistra e il giovane si troverà ormai troppo coinvolto ed incapace di tornare indietro.

Il film, che segna il debutto alla regia dell’iraniano Hossein Amini, punta sulla caratterizzazione dei personaggi così come il libro del 1964: tutti e tre i protagonisti sono bugiardi, truffatori ed irrazionalmente gelosi. In particolare il personaggio di Chester, uomo carismatico ed affascinante, ricorda un po’ Gatsby sia nel modo di fare, sia nel modo di vestire. Inoltre, la sceneggiatura, sempre opera di Amini, presenta molte sfumature e nuovi livelli di interpretazione, visto che il film cambia man mano che la storia va avanti e proseguono i reciproci inganni tra i personaggi. Così la battaglia psicologica tra i due uomini si rivela essere una specie di rispetto e amore affettuoso, rintracciabile nel tema di Zeus e Crono, in cui il figlio deve uccidere il padre per diventare uomo.

La regia, che è assolutamente raffinata ed intelligente, evidenzia la forte influenza del cinema americano noir (Hitchcock) e francese (il film ricorda molto Plein Soleil del 1960, l’originale adattamento francese del Talento di Mr. Ripley con Alain Delon) e, attraverso le sequenze girate tra Creta, Atene ed Istanbul, viene creata in maniera brillante l’epoca d’oro del turismo americano in Europa. Un’epoca il cui stile e fascino è esibito anche negli abiti indossati dagli interpreti (a cura di Stephen Noble), ispirati a Il grande Gatsby e alla moda di quel periodo.

La pellicola, il cui titolo deriva dal Giano Bifronte, la divinità mitologica a doppia faccia e che rappresenta, dunque, il doppio volto di ogni individuo, è un’opera sull’idea che sta alla base della mitologia greca: nella battaglia contro gli dei, gli uomini escono sconfitti a causa della loro imperfezione, ma è proprio nella loro umanità che trovano la vittoria.

 

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