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9/10

Miracolo a Milano regia di Vittorio De Sica

Drammatico
recensione di Gloria Paparella

La vecchietta Lolotta trova un bambino sotto un cavolo e lo alleva. Ma alla sua morte il bimbo viene affidato ad un orfanotrofio. Ne esce giovanotto. Totò, così si chiama, vive tra i barboni accampati in una zona della periferia milanese, dalla quale un giorno sgorga un getto di petrolio. L'industriale Mobbi acquista il terreno e fa sloggiare i baraccati con l'intervento della forza pubblica. Invocato da Totò, lo spirito di Lolotta scende dal cielo e gli consegna una bianca colomba, reggendo la quale Totò compie i miracoli più sorprendenti ed esaudisce tutti i desideri dei poveri compagni. Una distrazione di Totò permette la cattura dei poveri; ma la Lolotta restituisce la colomba, così gli amici, liberati, si innalzano in volo verso il regno della bontà.

Tratto dal romanzo di Cesare Zavattini, sviluppo di tre pagine scritte insieme a Totò, Miracolo a Milano si sviluppa come una fiaba, un sogno lontano da quel realismo che Vittorio De Sica aveva portato sugli schermi con film come Sciuscià e Ladri di biciclette. Qui, il regista e Zavattini sembrano voler schierarsi al fianco dei barboni e dei diseredati, coloro che rifiutano la società e i suoi sistemi perché sono in cerca di un luogo in cui “buon giorno vuol dire veramente buon giorno”.

Il protagonista, Totò (Francesco Golisano), trovato dalla vecchietta Lolotta (Emma Gramatica) nel suo piccolo orto, sotto un cavolo, cresce come un orfanello buono, ed entra a far parte della società dei buoni, i barboni, che vivono nella periferia di Milano dentro piccole capanne. Insieme costruiscono un nuovo campo, con strade e piazzette: nasce una vera e propria realtà quotidiana, fatta di feste e lotterie, all’insegna della bontà verso il prossimo. Ma da quel terreno sbuca il petrolio, e il ricco signor Mobbi (Guglielmo Barnabò) lo compra e, spalleggiato dalla polizia, vuol far sgomberare il campo. È qui che i barboni intuiscono i “poteri” di Totò: la vecchietta dal cielo gli dona una colomba con cui esaudire tutti i desideri. Dopo aver accontentato le richieste dei suoi compagni, il giovane e gli altri barboni si recano in piazza del Duomo e, su delle scope, volano via liberi.

Oltre ad essere la prima volta in cui il regista utilizza gli effetti speciali (il film costò 180 milioni di lire, un debito che De Sica dovette sostenere per diversi anni), Miracolo a Milano è un tentativo di portare lo stile neorealista all’interno di una fiaba, con una forte impronta ideologica: i ricchi vivono nel lusso e appartengono al regno della Terra, mentre i poveri vivono nelle baracche ma con modi sostanzialmente cattolici e possono volare in Cielo. La pellicola, premiata a Cannes con la Palma d’Oro nel 1951, non fu gradita né dalla destra, soprattutto per come fu dipinto il personaggio di Mobbi e per la carica eversiva dei barboni, né dalla sinistra, secondo cui il film rappresentò il punto d’arresto della vena realistica del regista. In realtà, Miracolo a Milano, che è sicuramente un film di passaggio, visto l’incrocio a quel tempo con le prime opere di Fellini e quelle più libere di Rossellini, è una grande fiaba del passato, che resiste bene allo scorrere del tempo e che continua ad avere qualcosa da dire, se ci si ferma a pensare ai ricchi e ai poveri di oggi.

 

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