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7/10

Mamma Mia Che Impressione regia di Roberto Savarese

Commedia
recensione di Antonio Falcone

Le  gesta del compagnuccio della parrocchietta Alberto, giovanottone timido ed imbranato, e i suoi vani tentativi di  conquistare il cuore della signorina Margherita, che si risolvono puntualmente in una serie di disastri, in particolare a danno di quei malcapitati che hanno la sventura di trovarselo tra i piedi…

Nel 1950 Alberto Sordi non era ancora un attore affermato nel cinema italiano, in particolare erano ancora lontani i ruoli che lo avrebbero reso famoso; la sua acuta e spietata osservazione dei tipi umani e delle loro quotidiane miserie ebbe inizio alla radio, dove nel 1948 era divenuto titolare ed autore della trasmissione Vi parla Alberto Sordi, vincendo la Maschera d’argento come miglior attore radiofonico nel ’49 e nel ’50; fece esordire, fra gli altri, un personaggio a lui congeniale, avendo frequentato da giovane gli ambienti dell’ Azione Cattolica: il compagnuccio della parrocchietta, dal caratteristico tono di voce petulante ed estremamente perbenista; Vittorio De Sica si entusiasmò nell’ascoltarlo e propose a Sordi di produrre insieme un film che lo vedesse come protagonista.

Nasce così, nel 1951, Mamma mia, che impressione!, soggetto dello stesso Sordi, sceneggiatore con De Sica e Cesare Zavattini, regia di Roberto Savarese: Alberto, giovane scout della parrocchia di Don Isidoro (Frank Colson ), ama Margherita (Giovanna Pala), ma con la sua dabbenaggine e la sua timidezza riesce solo a combinare guai e a cacciarsi in situazioni assurde; per avere la somma necessaria a comprare un presepe per la parrocchia, ma soprattutto per mettersi in luce dinanzi ala fanciulla, contesa dallo sportivo Arturo (Carlo Giustini), parteciperà ad una gara podistica, riuscendo a vincerla, provocando però tanti di quei disastri da far sì che la gara venga annullata.

Film anche oggi molto divertente, risulta ancora legato al mondo radiofonico, troppo dialogato, con la logorrea del protagonista a farla da padrone, inoltre la ripetitività ossessiva di molte situazioni non giova alla compiutezza stilistica del film; le novità presenti fanno però passare questi difetti in secondo piano:vi è da parte di Sordi una forte carica di caustica crudeltà, anche nei confronti del suo stesso personaggio, visto che riesce a suscitare il riso nonostante la sua meschinità, costringendoci a solidarizzare con lui e a disprezzarlo nello stesso tempo; diabolicamente perfido poi, il capovolgimento dei ruoli, perché il rompiscatole si rivolge alle persone con modi gentili, arrivando a sfinirle e portandole ad aggredirlo pur di levarselo di torno; di rilievo, infine, che in epoca democristiana si riesca a prendere in giro il mondo delle piccole sacrestie e delle associazioni cattoliche, dove il sacro è ridotto a quotidiana ritualità.

Una comicità in anticipo sui tempi dunque, che non giovò certo agli incassi, tanto da fa ritenere ai produttori che Sordi fosse troppo sgradevole per poter essere accettato dal pubblico: occorrerà attendere nel ’53 I vitelloni di Federico Fellini (ma senza il nome dell’attore sui manifesti, dopo il flop de Lo sceicco bianco) perché Albertone, con il famoso gesto dell’ombrello rivolto a degli operai in una scena del film (Lavoratori…), potesse conquistare definitivamente gli spettatori, consegnando alla storia del cinema l’impietoso ritratto dell’italiano medio, con tutti i suoi difetti, senza sconto alcuno.

 

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