A “Finalmente la felicità” e “Vacanze di Natale a Cortina”: l’insostenibile pesantezza del vuoto

“Finalmente la felicità” e “Vacanze di Natale a Cortina”: l’insostenibile pesantezza del vuoto

Senza impelagarmi in disquisizioni cinefile-sociologiche volte a scoprire il perché i consueti nostrani “film natalizi” abbiano avuto uno scarso impatto al botteghino rispetto al passato, almeno stando ai dati del primo weekend di programmazione, da amante del cinema tout court, in tutte le sue manifestazioni, con questo articolo vorrei semplicemente mettere in evidenza come sia praticamente scomparsa la nostra commedia “popolare”, rispettosa in egual misura della voglia di divertimento del pubblico e  della sua intelligenza: si continua a cucire toppe su toppe ad un vestito ormai logoro, riproponendo la solita amena favoletta (Pieraccioni) o una pseudo analisi di costume (Vanzina brothers e Neri Parenti) relativa ad un paese ormai in piena crisi, non solo economica, mentre occorrerebbero  nuove idee, a partire dalla fase di scrittura, volte in particolare a ridare al genere dignità e dimensione cinematografica.

Dieci film all’attivo, almeno due riusciti, nel complesso (I laureati, ’95, suo esordio, e Il ciclone, ‘96), ma Leonardo Pieraccioni non si decide ad uscire dal box, continuando, insieme al compagno di sceneggiatura Giovanni Veronesi, a sbatacchiare i  suoi giocattoli, nella fattispecie la macchina da presa, convinto di essere un bravo regista solo perché il pubblico, a fasi alterne, lo ha seguito con una certa simpatia, accontentandosi di minime varianti (toni sempre più surreali, fiabeschi, lievi,vagamente poetici) al consueto canovaccio: giuggiolone romantico e di buon cuore, disadattato in letizia vivente in un mondo a parte con contorno di tipi bizzarri, attende fiducioso che la vita gli possa ridare ciò che in qualche modo si è preso, a partire dall’amore, ovviamente.

In Finalmente la felicità il buon Leonardo interpreta Benedetto, professore di musica in quel di Lucca, con un sogno nel cassetto (ma va?), il quale riceve il classico invito a presentarsi alla trasmissione tv C’è posta per te (bella marchetta, si sfiora il sublime …), dove apprende che sua madre aveva adottato a distanza una bimba brasiliana, Luna, ora statuaria modella (Ariadna Romero). Una volta fatta conoscenza, i due saranno coinvolti in varie situazioni e imprevisti, insieme allo stralunato (ancora..) amico di Benedetto, Sandrino (Rocco Papaleo), improbabile organizzatore di tour turistici, che ha appena scoperto il tradimento della sua fidanzata, con il coinvolgimento, infine, dell’ex ragazzo di Luna, Jesus (Thyago Alves)…La confezione proposta dal comico toscano risulta certo gradevole, mai volgare, forse con un po’ di fastidiosa misoginia, per quanto mitigata dalla solita bonomia che gli è propria, ma spesso stridente tra intenzione e resa complessiva, con le consuete  figure  proprie del circo pieraccioniano mai come questa volta scarsamente convincenti, a partire, purtroppo, da Papaleo, senza trascurare l’esotica bella figliola, classicamente intenta a sgranare gli occhioni: si procede per successione di sketch attaccati alla meno peggio, lungaggini, poche risate e la solita morale finale da vecchio saggio che premia i puri di cuore, “basta aspettare e le cose belle prima o poi arrivano.”

Oh Leonardo,  e son più di dieci anni che s’aspetta, o che tu vuoi fare, prenderci per bischeri tutta la vita?

Ritornati sul luogo del delitto, quella Cortina dove nel 1983 tutto ebbe inizio, Carlo ed Enrico Vanzina alla sceneggiatura, insieme al regista Neri Parenti, hanno dato una ripulita alla consueta portata dei giorni di festa, via località turistiche straniere, volgarità gratuite (giusto un accenno, tanto per gradire) e derive scatologiche, nel tentativo di conferire alla costruzione complessiva di Vacanze di Natale a Cortina qualcosa di più definito e levigato: la girandola dei vari personaggi   vorrebbe offrire una sorta di specchio dei recenti malcostumi, vizi e vezzi italici, tratteggiando le figure proprie di diversi ceti sociali, dal “papi” di turno all’industriale maneggione, passando per i popolani baciati da improvvisa fortuna, non solo monetaria, ed una spolverata di vip all’occorrenza, che, come il prezzemolo, stanno bene dappertutto.

In un proscenio che più finto non si può, tra spot commerciali neanche tanto sottointesi, il tutto finisce con la consueta pacca sulla spalla a far da triste autoassoluzione, con De Sica figura sempre più triste, come ogni componente del  cast, fritto misto tra attori propriamente detti e “morti di fama” d’estrazione televisiva (Ivano Marescotti, Ricky Memphis, Sabrina Ferilli, Valeria Graci, Katia Follesa, Giuseppe Giacobazzi, Dario Bandiera).

Manca quel minimo di allegra spontaneità propria dell’originale, a suo modo lungimirante in una pur superficiale descrizione del reale, che tanto richiamava nel suo apparentemente ingenuo afflato  certe commedie nostrane degli anni ‘50.  Riallacciandomi a quanto detto ad inizio articolo, affido ai versi di una nota canzone, tra le più belle di quelle eseguite da Fiorella Mannoia, parafrasando qua e là, un’opportuna, speranzosa, conclusione: “Come si cambia per non morire, come si cambia per amore (del pubblico), come si cambia per non (farci) soffrire, come si cambia per ricominciare …”

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