R Recensione

8/10

La ciociara regia di Vittorio De Sica

Drammatico
recensione di Gloria Paparella

Per sfuggire ai bombardamenti e alle mille insidie di una città allo sbando, Cesira affida il proprio negozio a Giovanni, un vecchio amico del marito con cui ha una fuggevole relazione adulterina, e intraprende un viaggio non semplice verso Fondi per rifugiarsi insieme alla figlia nel suo paese d'origine.

Tra la fine degli anni Cinquanta e buona parte degli anni Sessanta venne a crearsi una solida sinergia cinematografica tra il nostro paese e l’industria hollywoodiana. Dive di casa nostra come Sophia Loren, Anna Magnani, Gina Lollobrigida, entrarono nello star system americano per poi tornare in patria: in questo senso vide la luce un film tanto amato e ricordato come La ciociara, realizzato da Sophia Loren al suo rientro in Italia dopo un quinquennio hollywoodiano, che la portò alla conquista di un risultato epocale. Oltre a raccogliere premi ovunque, Cannes compreso, per la sua interpretazione, la Loren si vide infatti assegnare l’Oscar alla migliore attrice, prima in assoluto nella storia della statuetta (attori maschili compresi) a vincere il premio per un film girato in lingua straniera.

Un film che affonda decisamente nella tradizione del nostro cinema. Ma è altrettanto vero che la pellicola vide la luce in quello scorcio di decennio quando veniva a crearsi una sorta di esperanto cinematografico transoceanico che si sarebbe ancor più platealmente affermato lungo gli anni Sessanta, e segnatamente nella figura registica di Vittorio De Sica.

Il più amato in America tra i nostri neorealisti, De Sica ritornò alla regia cinematografica con La ciociara dopo ben cinque anni di inattività. Ritroviamo un De Sica sensibilmente mutato nell’estetica e nell’ispirazione. Pur affrontando una vicenda altrettanto dura e atroce di guerra, dolore e miseria nella trasposizione del bel romanzo di Alberto Moravia, De Sica mostra un approccio al racconto profondamente mutato, in primo luogo tramite scelte stilistiche assai distanti dall’estetica del neorealismo zavattiniano. La ciociara è basato sulla peripezia e l’intreccio stringente, assai meno sulla definizione dei personaggi. La protagonista Cesira è costantemente messa in azione, raramente raccontata in profondità. È rilevabile anche una certa, sagace costruzione in due tempi: alla prima parte tutta solare e sorridente, da tipica commedia italiana di ambientazione bellica, segue poi un crescendo drammatico che culmina nella famosa sequenza dello stupro di gruppo. Tuttavia, resta comunque grande spettacolo concepito secondo coordinate internazionali, in cui le vicende hanno la meglio sulla definizione stereotipica e superficiale dei personaggi. E anche la seconda parte assume le linee del drammone all’americana riambientato nelle campagne laziali, dove tutto è urlato, esasperato, esteriorizzato, quasi mai inquadrato in senso problematico e realmente analitico.

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