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R Recensione

10/10

L'Uomo di Londra regia di Béla Tarr, Ágnes Hranitzky

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

Un uomo assiste ad un omicidio. Impossessatosi di una valigetta contenente migliaia di sterline inglesi, deve fare i conti con la propria coscienza e con la giustizia...

La penultima opera di Béla Tarr, che si è ritirato dalle scene nel 2011, dopo aver vinto l’Orso d’argento a Berlino per Il cavallo di Torino, si ispira ad un romanzo poco conosciuto di Georges Simenon, “L’uomo di Londra”. Ambientato originariamente a Dieppe, in Normandia, la trasposizione cinematografica di Béla Tarr è stata invece girata a Bastia, in Corsica, avvalendosi delle bellezze del porto vecchio. Protagonista del film è Maloin, addetto al controllo ferroviario e testimone di un omicidio, durante il turno di notte, omicidio che vede protagonista un inglese sbarcato in Francia dopo avere commesso un furto. Nella valigetta che porta con sé e per la quale ha litigato con il proprio socio in affari, uccidendolo,  è contenuta un’ingente quantità di denaro. Il romanzo di Simenon e il film di Tarr giocano sulla tensione psicologica dei protagonisti i quali sono consapevoli di ciò che è accaduto, e, pur non conoscendosi, si rincorrono tenendosi  a debita distanza, incrociandosi, senza mai addivenire ad un vero e proprio incontro, se non nel finale. Il film di Tarr amplifica questa relazione con dei tempi molto lunghi, dei silenzi, che vengono brevemente sospesi dai dialoghi che intrattengono i protagonisti, ma che risultano tuttavia secondari. Ache gli interventi musicali extradiegetici, sono, almeno nella prima parte del film, rari e il regista tende a privilegiare il sonoro, ovvero il rumore di fondo del mare e degli ambienti in cui Maloin si muove. Il regista, che assurge a vero e propria auctoritas autoriale, fa ampio uso di piani sequenza di lunga-media durata, dando un ritmo molto lento alle vicende dei personaggi e accompagnandoli passo passo nei loro movimenti con una camera che segue Maloin nelle sue passeggiate e che si muove inoltre alla ricerca dell’azione con movimenti laterali e con frequenti zoom, che si avvicinano agli attori nel tentativo di carpirne le emozioni, i sentimenti, le intenzioni. Il regista fa uso del bianco e nero, come in quasi tutte le sue opere, scelta che privilegia le luci e le ombre, di contro al colore, e che delinea un mondo bicromatico in cui male e bene convivono e si mescolano. L’autore sceglie di inquadrare Maloin di spalle fino al momento in cui questi riconosce i suoi sbagli e si deve scontrare con la propria colpevolezza e con la propria coscienza.   Per certi versi il cinema di Béla Tarr ricorda il cinema di Tarkovsky, ma con una poetica diversa, meno aulica e misticheggiante, ma egualmente capace di ritrarre un mondo, in questo caso il mondo del romanzo di Simenon, andandone in profondità, senza fermarsi alla superficie, ovvero carpendo lo spirito dei personaggi che rappresenta, avvicinandosi al maestro russo anche per la lentezza e la riflessività della macchina da presa. Tarr è abbastanza fedele all’opera letteraria del romanziere belga, sia nel ricostruirne i personaggi, sia nell’intreccio e negli eventi narrati, distaccandosene invece per il ritmo, che nel romanzo è più veloce, e per l’ambientazione temporale, passando dagli anni '30 del novecento a un periodo a cavallo tra i '60 e gli '80 (o almeno così pare se ci si affida per una datazione alle scenografie degli interni). Regista poco fortunato (il film ebbe una lunga gestazione e lavorazione, ovvero ben quattro anni dal 2003 al 2007, a causa della morte del produttore Humbert Balsan) e dalle sorti alterne, si avvale in questo caso di un cast prettamente ungherese, con l’incursione di qualche attore francese di secondo piano e con la partecipazione di Tilda Swinton nella parte della moglie di Maloin. Attori quindi poco conosciuti ma di grande professionalità. La decisione del regista ungherese di ritirarsi dalle scene è probabilmente dovuta alle difficoltà nel reperire dei fondi in patria o all’estero per realizzare le proprie opere. In particolare lo stato magiaro ha recentemente riveduto la propria politica di sovvenzioni pubbliche, favorendo le grandi produzioni internazionali europee o americane attraverso degli sgravi fiscali, a discapito delle sovvenzioni dirette alle produzioni nazionali. Dopo una pellicola così intensa, di grande raffinatezza tecnica e di pregevole ricostruzione scenografica, nonché di grande prova attoriale, speriamo che il regista ungherese ritorni sulle proprie decisioni e, sfidando le ristrettezze economiche che lo hanno attanagliato in passato, ci regali altre opere capaci di affascinarci e di farci riflettere sull’uomo e sulla sua responsabilità morale.

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alexmn 4/10
Upuaut 2/10

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alexmn (ha votato 4 questo film) alle 13:50 del 25 luglio 2013 ha scritto:

ho trovato la lentezza davvero esasperante, oltre ogni (mio) limite di sopportazione del vuoto cinematografico. capisco la volontà di creare un'atmosfera sospesa, peraltro tipica del cinema di tarr e volendo anche del genere noir, però davvero mi pare che qui i silenzi e la rarefazione narrativa non rimandino a qualcosa di più profondo ma al nulla autoriale. non c'è dietro la volontà di dire altro o di far riflettere - vedi la strada intrapresa da malick - quanto un significante svuotato da qualsiasi significato. introdurre la noia nel cinema equivale a snaturarlo.

frankbin, autore, alle 22:00 del 25 luglio 2013 ha scritto:

hai ragione. la lentezza è forse eccessiva, ma il regista riesce a ricreare un mondo da noi lontano restando fedele al romanzo di Simenon, di cui ti consiglio la lettura

Upuaut (ha votato 2 questo film) alle 22:44 del 25 luglio 2013 ha scritto:

Questo film è l'equivalente pretenzioso di un porno fetish: è costruito per il solo piacere del suo creatore e dei fan del genere. E' manierismo fine a se stesso, senza scopo né significato (a differenza del cinema di Tarkovsky), se non quello dell'autore nel crogiolarsi nel proprio gusto estetico. A tratti la regia è talmente esasperante che sembra quasi una parodia esagerata dello stereotipo del film d'autore (vedi link alla fine del commento).

Per il 99% del pubblico non accecato dall'ombra del maestro ungherese invece il film ha lo stesso effetto che ha guardare una tela di natura morta per 139 minuti. Gli attori sono alternativamente in due stati: o apatico e inespressivo o caotico e sopra le righe (guarda caso proprio come i performer di un film porno).

C'è poi anche un ultimo dettaglio, forse ancor più significativo, che lo lega alla pornografia: visto il primo minuto hai visto il film.

E chi si è mai visto un porno per intero?

PS:

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 17:49 del 29 luglio 2013 ha scritto:

Fossi in te, Upuaut, mi darei una ripassata al concetto di "cinema contemplativo" prima di aprire la bocca per dimostrare una cultura di Calderoli.

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 17:50 del 29 luglio 2013 ha scritto:

una cultura pari a*

Upuaut (ha votato 2 questo film) alle 18:34 del 29 luglio 2013 ha scritto:

Tralasciando gli insulti, mi pare tu sia stato poco attento a quello che ho scritto.

Semplificando, il cinema, anche quello contemplativo (vedi Tarkovsky), deve avere uno scopo e un significato. Il primo è necessariamente dell'autore/regista (o degli studios, ma non è questo il caso), il secondo lo da l'autore e/o ce lo mettiamo noi. Questo film è costruito per il solo fine di essere "goduto" da chi lo ha creato, del pubblico se ne disinteressa. In poche parole, o sei (come) me o sono affari tuoi.

Gli intricati piani sequenza di un minuto e il bianco e nero non nascondono la voragine che sta sotto.

E' talmente vuoto che nemmeno lo spettatore, perso e senza guida, riesce ad iniettarci un significato.

Talmente vuoto che i dialoghi, quando sono presenti, sembrano fuori luogo e totalmente inutili, fatti di schiamazzi e caos o di totale apatia.

Alla fine della visione la sensazione è stata di aver sofferto inutilmente per due ore e mezza.

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 2:27 del 30 luglio 2013 ha scritto:

A parte che quel "da" andrebbe accentato, comunque ti consiglio caldamente di rivedere la pellicola. Del resto, sei di fronte a un genio del calibro di Tarr, quindi probabilmente il problema è tuo e non del film, e magari, semplicemente, è un film che va rivisto, studiato, meditato, perché c'è qualcosa di molto più profondo, qui, qualcosa che ha a che fare con la tragedia e il senso tragico dell'esistenza, l'ineluttabilità della scelta eccetera (ne ho scritto qualcosa tempo fa, ma suona parecchio da fan, quindi puoi leggerla per il semplice gusto di fregartene: http://emergeredelpossibile.blogspot.it/2013/03/irrealizzazioni-dalla-finzione-della.html), qualcosa che non c'è nemmeno nel romanzo di Simenon.

alexmn (ha votato 4 questo film) alle 9:13 del 30 luglio 2013 ha scritto:

quel che ho trovato più irritante è che la durata di ogni inquadratura andava ben oltre il limite del contemplativo! considerando, volendo semplificare parecchio, come modello di montaggio 'standard' uno di derivazione hitchcockiana, ci sta che un regista decida di rallentare il ritmo per suggerire allo spettatore una visione più profonda, un'analisi della condizione umana (o di altro) che vada oltre quanto raccontato. il problema è che in questo film, a differenza dei precedenti, bela tarr va oltre la durata 'contemplativa' dell'inquadratura debordando nel nulla. la questione non è la durata in sè, quanto la durata in rapporto a quello che si vuole dire: ogni singolo shot, salvo poche eccezioni, va costantemente oltre-e-di-parecchio la sopportabilità sforando quel limite in cui non si trasmettono più significati alti quanto il vuoto (che peraltro non è neanche giustificabile accostandolo al concetto di vuoto lacaniano..ma questo è un'altro discorso). concordo sul fatto che tarr sia un maestro, ma non per questo non può essere messo in discussione..

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 14:09 del 30 luglio 2013 ha scritto:

No, aspetta un secondo, per te il cinema contemplativo è Hitchcock? Cioè, e di Reygadas e Dumont che mi dici? Che sono vuoti anche loro perché vanno oltre la durata che non ti fa addormentare? Boh, mi sembra una cosa abbastanza soggettiva, direi, e anche sbagliata. Com'è che fai a valutare il vuoto dalla durata di più inquadrature? Cioè, vuoi davvero venirmi a dire che la durata genere il vuoto? No, perché sarei curioso di capire come questo succed(erebb)e.

alexmn (ha votato 4 questo film) alle 14:25 del 30 luglio 2013 ha scritto:

non ci siamo capiti. parlavo di hitchcock per avere un riferimento di montaggio 'standard' non relativo al cinema contemplativo. reygadas è tra gli autori più sopravvalutati esistenti, non voglio aprire quel cassetto perchè ho solo opinioni negative su di lui e sulla sua filmografia

sulla durata delle inquadrature e sulla necessità di uno stacco di montaggio ti rimanderei alle lezioni di regia di ejzenstejn o al libro-intervista di truffaut a hitchcock. la durata genera vuoto nel senso che ad un certo punto un'inquadratura troppo lunga perde di significato: se quello che un certo shot deve dire ha bisogno di X secondi per essere detto e uno decide di farglielo dire in 3X, buona parte di quei frame in più perde di significato perchè semplicemente non è necessario...e questa non è una questione soggettiva, perchè nell'ultimo di bela tarr non stiamo parlando di pochi fotogrammi, ma di decine di secondi o addirittura minuti. il montaggio ha delle proprie regole, flessibili quanto vuoi, ma comunque esistenti. l'uomo di londra sembra un edit rough, tipo la messa in fila di scene che fai prima di raffinare il montaggio. qui evidentemente sono provocatorio, però il concetto è questo.

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 14:35 del 30 luglio 2013 ha scritto:

Reygadas è uno dei registi più sopravvalutati? O__________________________O

Farò finta di non aver letto.

Comunque, no, quel cinema di cui parli è un altro cinema, che evidentemente trova i tuoi favori perché, fondamentalmente, credo sia l'unico che capisci, avendone visto e letto eccetera. Il cinema di Tarr, così come quello di Reygadas, è un altro tipo di cinema, che necessita o promuove la contemplazione, la visività dell'immagine. A differenza dei tuoi Hitchcock e Truffaut, Reygadas e Tarr non vogliono rappresentare il mondo, vogliono creare una realtà parallela al mondo in cui viviamo, e questo, a quanto pare, non credo serva che te lo spieghi perché, viste le tue profondissime letture, avrai sicuramente avuto modo di sperimentare il pensiero di Laurent Jullier, che appunto tratta della rappresentatività e della rappresentazione: fare ora un film à la Truffaut significa, fondamentalmente, essere anacronisti o, peggio, usare un linguaggio stereotipato, buono per qualunque cinema (v. Spielberg, de Palma ecc.)

alexmn (ha votato 4 questo film) alle 14:54 del 30 luglio 2013 ha scritto:

rispondo anche qui per completezza. il cinema di reygadas non solo è sopravvalutato, è una cagata pazzesca. poi in realtà tu che sai tutto di quello che io vedo-leggo-mangio-ascolto-rielaboromentalmente-e-quant'altro hai già tratto tutte le tue conclusioni del caso. vedi, non lo sapevo ma mo' viene fuori che io sono da sempre in uno show tipo quello di truman e tu hai potuto seguire l'evolversi della mia vita e quindi, con una presunzione senza confini, puoi giudicare ogni mia parola. io poi leggo soltanto playboy perchè ha un sacco di figure e sulla settimana enigmistica faccio solo il gioco di unire i puntini perchè c'è meno sbattimento della parole crociate. e pensa un po', nonostante questo, non accosterei mai il nome di bela tarr, regista di gran talento, a quella schifezza di reygadas. ahhahahahahahahhaha au revoir

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 16:29 del 30 luglio 2013 ha scritto:

Scusa la domanda, ma ti hanno dato la ciuccia da piccolo? Te lo chiedo perché mi sembri avere delle mancanze affettive grandi come una casa, cioè all'inizio dici di rispondere per completezza, ma poi su Reygadas ribadisci quello che hai già detto senza motivarlo (perché Reygadas fa schifo?), quindi presumo che per te la completezza in una discussione di cinema sia questa sorta di fare il bambino cui il bulletto ha appena distrutto il castello di sabbia che voleva mostrare alla mamma tanto per avere un po' di compassione e calore umano o un pat pat sulla testa :/

alexmn (ha votato 4 questo film) alle 16:41 del 30 luglio 2013 ha scritto:

reygadas non mi piace perchè trovo presuntuoso il suo modo di fare cinema, perchè dietro alle sue immagini (pur suggestive) non c'è niente, se non la rappresentazione stessa della noia..non sono altro che uno specchietto per le allodole per chi vuole dargli a tutti i costi un significato che non hanno. reygadas pare uno che si diverte un sacco a prendere per il culo chi continua a considerarlo un artista di valore, allo stesso modo con cui alcuni esponenti dell'arte contemporanea sono provocatori con le loro opere e installazioni. personalmente l'unico motivo per ammirarlo è il fatto metterci la faccia senza nascondersi dietro uno pseudonimo, una maschera o lo schermo di un computer.

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 16:52 del 30 luglio 2013 ha scritto:

Ah, che deficiente sono, mi avevi risposto qua. Pardon. Comunque non credo proprio che Reygadas sia vuoto. Prendi "Battaglia nel cielo", dov'è evidente la critica sociale, piegato in due com'è tra il simbolico (la bandiera, i soldati ecc) e il reale (il corpo ecc), o "Stellet licht", dove, come un nuovo Proust, è riuscito ad abolire la morte eccetera. Insomma, è tutto un discorso sul corpo, il suo, che in "Post tenebras lux" diventa un discorso sul cinema, di cui Reygadas stende una nuova grammatica praticamente. Sarei curioso di sapere quali registi consideri all'altezza di questo cinema, come ti ho già chiesto, perché sono sicuro che, allora, neanche Fliegauf o Dumont ti piaceranno granché e magari vivi in un pianeta che non è il mio, di registi che io non conosco eccetera.

Upuaut (ha votato 2 questo film) alle 10:25 del 30 luglio 2013 ha scritto:

Tralasciando, di nuovo, gli attacchi personali, "sei di fronte a un genio del calibro di Tarr, quindi probabilmente il problema è tuo e non del film" è una frase inaccettabile. Io il film, purtroppo, l'ho visto due volte, cosa che faccio sempre prima di esprimere un giudizio su qualsiasi pellicola, e la seconda visione mi ha dato ben poco (sicuramente non abbastanza da giustificare altre due ore e mezza di sofferenza). E comunque il concetto di autore/maestro al di sopra di ogni possibile critica è auto-limitante e concettualmente errato, senza contare il fatto che implica l'esistenza di una struttura di tipo religioso nel rapporto tra pubblico e regista, cosa a dir poco aberrante.

Da un maestro ci si dovrebbe aspettare molto di più, e quindi bisognerebbe criticarlo molto di più invece che cercare di giustificarlo qualora produca opere di dubbio valore. Questa pellicola, come qualsiasi opera d'arte reale o sedicente, assume significato solo in virtù dell'esistenza di un audience. E come tale, fallisce, perché aliena il 90% del suo potenziale pubblico.

Quando scrivo che manca di significato intendo, chiaramente, dall'unico punto di vista che conta, quello dello spettatore.

Non dubito che Bela Tarr abbia voluto dare un livello di lettura più profondo al suo film, sono sicuro però che sia fallito nel suo intento, annebbiato dal suo gusto e dal suo stile.

Come dice alexmn il problema non è voler lavorare sulle emozioni rallentando il film, è rallentarlo talmente tanto da eliminare le emozioni e, di conseguenza, il significato.

Alla fine di ogni piano sequenza Tarr lascia dai 30 sec al minuto di nulla, che sia il faccione di Tilda Swinton teso dal litigio col marito o il volto inespressivo (o meglio, monoespressivo) di Agi Szirtes (la moglie dell'inglese per intenderci). C'è un limite di attenzione nello spettatore che scatta quando non succede nulla nell'inquadratura e lo porta a distrarsi e quindi a "uscire" dal film.

Questo avviene alla fine di ogni singolo piano sequenza di questo film. Non a caso la gente usciva dalla sala.

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 14:16 del 30 luglio 2013 ha scritto:

Devo ancora capire quali siano queste fantasmatiche e fantasmagoriche offese personali, comunque non credo ci sia niente di religioso nel definire Tarr un maestro esente da critiche (hai visto "Il cavallo di Torino"? Ecco), ma forse è il tuo background culturale di stampo prettamente cattolico che ti fa confondere la trascendenza con la religiosità, anche perché in Tarr il concetto di religione e/o soteriologia è completamente annullato in favore di qualcosa di cui forse questa non è la sede per parlarne. Quando poi mi vieni a dire che "questa pellicola, come qualsiasi opera d'arte reale o sedicente, assume significato solo in virtù dell'esistenza di un audience. E come tale, fallisce, perché aliena il 90% del suo potenziale pubblico" mi viene il sospetto che tu abbia letto troppo Lyotard e non abbia forse inteso che Tarr si pone fuori da questo postmodernismo artistico, creando un'altra realtà - la sua, appunto - cinematografica. Che può piacere o non piacere, ma dire che sia il vuoto perché vuol far contemplative le varie sequenze mi sembra commettere un errore di forma di contenuto, anche perché magari non l'avete notato, ma questo film è prima di tutto un lavoro sul cinema (e solo in questo senso è accostabile a Hitchcock).

alexmn (ha votato 4 questo film) alle 14:28 del 30 luglio 2013 ha scritto:

sai qual'è il tuo problema..che dai giudizi tranchant sulle persone..se uno dice una cosa è perchè magari ha visto troppi film di questo o letto troppo di quest'altro. se confonde un concetto è colpa del suo background cattolico!?!? ma scusami, tu che ne sai degli interlocutori con cui stai parlando...basati su quello che uno scrive senza andare a costruire castelli in aria over-interpretando quello che uno scrive. suvvia

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 14:37 del 30 luglio 2013 ha scritto:

E il tuo è mettere l'apostrofo in "qual è". Comunque non mi pare di aver detto niente di male, ho solo constato lo scambio semantico fatto dal mio interlocutore, il quale penso sappia difendersi senza che il paparino gli venga a fare pat pat sulla testa :/

Visto che leggi Lacan, ti consiglio di rispolverare un filino di Deleuze, specie quando tratta di Lacan e del cattolicesimo

alexmn (ha votato 4 questo film) alle 14:46 del 30 luglio 2013 ha scritto:

scusami dante.

comunque è un sito libero e io posso commentare dove voglio e in difesa di chi voglio se condivido le sue opinioni.

comunque bis, la chiudo qui perchè è IMPOSSIBILE discutere con te di cinema, troppa presunzione su quello che pensi di sapere sul cinema stesso e su chi ti sta rispondendo.

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 14:54 del 30 luglio 2013 ha scritto:

Sai com'è, "l'uomo è parlato" e, se mi sbagli a parlare, penso tu sia sbagliato. Stando al tuo Lacan, almeno

Comunque se devi fare la primadonna perché pensi sia presuntuoso almeno abbi la dignità di accorgerti che sei stato tu quello a figheggiarsela con Lacan, che, per inciso, non c'entra nulla, fingendosi un novello Recalcati. Cioè, dai... >.<

alexmn (ha votato 4 questo film) alle 16:29 del 30 luglio 2013 ha scritto:

(necessaria) parafrasi:

poor yorick è colto e può citare chi vuole, quando vuole perchè di certo non sbaglierà. alexmn invece non può citare, che altrimenti risulta maldestro e fa la parte di quello che vuole fare il fighetto senza poterselo permettere. in tutto questo alexmn pare non avere dignità. poor yorick ha capito qual'è l'essenza vera del cinema e soprattutto è in grado di poter dividere buoni e cattivi, evidenziando chi sono gli eletti che posso accedere alle sfere auliche del cinema contemplativo. alexmn, poraccio, non ha intuito dove si sta muovendo l'avanguardia della settimana arte ed è costretto a rimanere su gradini meno nobili del linguaggio cinematografico. poor yorick nasconde velati-e-furbetti insulti personali (sviando il discorso) praticamente in ogni suo commento, salvo poi affermare che non è vero ribaltando addirittura la frittata. dove non è possibile ricorre allo strumento tipo del grammar nazi che è quello di puntualizzare inutilmente su errori grammaticali o di forma ricorrendo addirittura a lacan per giustificarsi e lanciare allo stesso tempo una frecciatina a chi l'ha citato - a suo dire - a sproposito. fine.

capisci che se la tua impostazione dialettica è "io sono figo e adamantico rispetto alle mie convinzioni, il mio interlocutore è accettabile se la pensa come me o è uno stronzo se ha una visione differente" non è che si può discorrere in modo piacevole e costruttivo. no??

chiudo ritornando a tema, per dire che per me il talento di bela tarr lo puoi trovare in un film come damnation, di certo non in un polpettone come l'uomo di londra. punto.

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 16:47 del 30 luglio 2013 ha scritto:

Mi pare che l'unico che stia cercando di tornare in topic sia io, visto che tutto ciò che continui a dire è che io ti ho offeso e tu probabilmente l'hai annotato nel diario, ti sei chiuso in camera ascoltando i The Doors e hai tutta l'intenzione di tenermi il broncio. :/

Quando hai voglia di spiegarmi perché Reygadas fa schifo, perché "L'uomo di Londra" è vuoto (e, no, non basta che mi dici che le inquadrature durano troppo) e, soprattutto, quali registi, secondo te, sono superiori a Tarr e Reygadas nel cinema contemplativo, sarei ben felice di leggerti, magari smorzando le battute e smettendola con questa scaramuccia da parco giochi.

Upuaut (ha votato 2 questo film) alle 15:39 del 30 luglio 2013 ha scritto:

A questo punto sorge prepotente la domanda: e chi se ne frega del mio background culturale? Tre commenti hai fatto e in tutti e tre sei riuscito a chiamare in causa la mia persona, senza sapere assolutamente nulla del sottoscritto, facendo deduzioni da Bacio Perugina sulla mia capacità di comprendere il cinema di Tarr e sul mio background culturale. Invece di speculare (decisamente male tra l'altro) su chi io sia o su cosa io abbia studiato perché non ci concentriamo sulle critiche al film?

Ma facciamo finta che tu stia solo fraintendendo e non stia facendo apposta a sviare il discorso dove pare a te.

Primo, non c'è nulla di più lontano da me del cattolicesimo, sono ateo da che ho memoria. Ho citato la religione perchè il tuo rapporto con l'autore è lo stesso che un fedele ha con Dio. Cieca ammirazione e ubbidienza, ogni critica è bestemmia. Allo stesso modo rispondi alle critiche al film come farebbe un sacerdote, sfoggiando una fantomatica scienza infusa a cui soltanto chi apprezza il film può accedere e a cui il resto degli spettatori non possono fare altro che aspirare. Mai, nemmeno per un secondo, ti è passato per la testa di considerare la mia come una critica legittima. Quando poi io abbia parlato di religione in relazione al film, rimane un mistero.

Per il resto, senza scomodare Lyotard (altra speculazione da parte tua), un film è fatto per essere visto, altrimenti non esiste. Se questa è, come tu sostieni, la realtà cinematografica personale di Tarr, allora, come ho già scritto sopra, è inaccessibile al pubblico, esistente soltanto per se stessa e per i suoi ammiratori.

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 15:52 del 30 luglio 2013 ha scritto:

A parte che non ho parlato della tua persona ma di ciò che emerge del tuo te disincarnato in base a ciò che scrivi. Comunque, ti ripeto, in base a quello che scrivi un film dovrebbe essere un film per tutti, una sorta di sputtanamento hollywoodiano che deve piacere ai mangiapopcorn che vanno all'UCI. Béla Tarr si sottrae a questo fare cinema, perché, fondamentalmente, non gli va, non è il suo modo di fare cinema. Il suo è un cinema contemplativo, sicuramente per pochi, ma da cui, indubbiamente, se analizzato attentamente, non può che risultare un grande cinema, che poi può piacere o meno. Prendi le sette e passa ore di "Satantango", è normale che uno che abbia una vita (lavoro, famiglia, studio eccetera) debba per forza organizzarsi per vederlo, debba in qualche modo veicolare la propria giornata in funzione di quel film: potrà sembrarti stupido, magari lo è, ma, una volta finito, ne vale senz'altro la pena. Con una durata inferiore, "L'uomo di Londra" è ugualmente impegnativo e richiede comunque uno sforzo cui il cinema, ma non solo il cinema, ci ha disabituato. Ora, da qui a dire che, siccome richiede questo sforzo, è inguardabile dai più e quindi fallisce il suo obiettivo, ti faccio notare che, forse, non era quello il suo obiettivo e, soprattutto, quello che importa a Tarr, almeno ne "L'uomo di Londra", è la sperimentazione di un nuovo modo di fare cinema, sperimentata già con "Perdizione". La tua critica legittima, quindi, mi pare, ma potrei sbagliarmi, semplicemente quella di un tipo che non ha voglia di approfondire, che ha visto un paio di volte il film e morta là. Basta? Secondo me no, Tarr richiede molta più disciplina e concentrazione. Se poi fai il piangina perché ti ho offeso, ti faccio notare che il tuo primo commento era quantomai offensivo nei confronti del cinema di Tarr e di chi lo apprezza, ma questo probabilmente non ti è passato per la testa.

Upuaut (ha votato 2 questo film) alle 17:01 del 30 luglio 2013 ha scritto:

"A parte che non ho parlato della tua persona ma di ciò che emerge del tuo te disincarnato in base a ciò che scrivi."

E allora leggi meglio.

"Comunque, ti ripeto, in base a quello che scrivi un film dovrebbe essere un film per tutti, una sorta di sputtanamento hollywoodiano che deve piacere ai mangiapopcorn che vanno all'UCI."

Leggi meglio.

"Béla Tarr si sottrae a questo fare cinema, perché, fondamentalmente, non gli va, non è il suo modo di fare cinema. Il suo è un cinema contemplativo, sicuramente per pochi, ma da cui, indubbiamente, se analizzato attentamente, non può che risultare un grande cinema, che poi può piacere o meno. "

L'unico problema che ho con questa frase è "non può che". Perché? Dove sta scritto che il cinema contemplativo è per forza grande cinema?

"Prendi le sette e passa ore di "Satantango", è normale che uno che abbia una vita (lavoro, famiglia, studio eccetera) debba per forza organizzarsi per vederlo, debba in qualche modo veicolare la propria giornata in funzione di quel film: potrà sembrarti stupido, magari lo è, ma, una volta finito, ne vale senz'altro la pena. "

A parte il fatto che qui si parla de L'uomo di Londra e non di Satantango (tutto un'altro film IMHO), io non ho mai criticato il film per la sua lentezza. Di nuovo, leggi meglio.

"Con una durata inferiore, "L'uomo di Londra" è ugualmente impegnativo e richiede comunque uno sforzo cui il cinema, ma non solo il cinema, ci ha disabituato."

Lo sforzo è immensamente maggiore e il valore infinitamente inferiore.

"Ora, da qui a dire che, siccome richiede questo sforzo, è inguardabile dai più e quindi fallisce il suo obiettivo, ti faccio notare che, forse, non era quello il suo obiettivo."

Leggi meglio. Fallisce perché lo spettatore attento e interessato (il tipo di pubblico di cui parlavo io, ma mi pareva ovvio visto il film) non ne trae nulla se non... nulla.

"soprattutto, quello che importa a Tarr, almeno ne "L'uomo di Londra", è la sperimentazione di un nuovo modo di fare cinema, sperimentata già con "Perdizione". "

Questo è il problema. Lo spettatore non dovrebbe aver già visto un film di Tarr, conoscere la sua poetica o il suo gusto estetico per poter apprezzare il film.

"La tua critica legittima, quindi, mi pare, ma potrei sbagliarmi, semplicemente quella di un tipo che non ha voglia di approfondire, che ha visto un paio di volte il film e morta là."

Ignorando di nuovo le tue speculazioni fuori luogo, il problema è che, come scritto sopra, io dovrei potere apprezzare il film avendolo visto UNA volta. Che poi si scoprano significati e si apprezzi di più la pellicola a seguito di ripetute visioni è un altro paio di maniche.

Ma se ciò non avviene il film ha fallito nel suo intento.

"Basta? Secondo me no, Tarr richiede molta più disciplina e concentrazione."

Secondo me, invece, due visioni sono il massimo che si può richiedere ad uno spettatore per apprezzare un film.

Tutto ciò che avviene dopo dipende dall'esito di quelle due visioni.

"Se poi fai il piangina perché ti ho offeso, ti faccio notare che il tuo primo commento era quantomai offensivo nei confronti del cinema di Tarr e di chi lo apprezza, ma questo probabilmente non ti è passato per la testa."

Non mi è mai passato per la testa perché non è vero. Io non ho mai insultato nè i fan di Tarr nè lui nè il suo film, men che meno il suo cinema (di cui non ho MAI parlato tra l'altro). Se però qualcuno si sente offeso da una critica, te lo dico con il cuore, me ne sbatto. Siamo adulti qui, se non si riesce a distinguere commento da insulto è bene farsi due domande, e se non si sopportano opinioni diverse si è liberissimi di andarsene.

La verità è che hai reagito come se avessi insultato tua madre, o la tua squadra del cuore.

Da tifoso.

E il tifoso tifa sempre la sua squadra del cuore, anche (e soprattutto) quando perde.

poor Yorick (ha votato 9 questo film) alle 17:19 del 30 luglio 2013 ha scritto:

Riesco anch'io a fare il giochetto, eh.

"L'unico problema che ho con questa frase è "non può che". Perché? Dove sta scritto che il cinema contemplativo è per forza grande cinema?" Leggi meglio, "Béla Tarr si sottrae a questo fare cinema, perché, fondamentalmente, non gli va, non è il suo modo di fare cinema. Il suo è un cinema contemplativo, sicuramente per pochi, ma da cui, indubbiamente, se analizzato attentamente, non può che risultare un grande cinema, che poi può piacere o meno": non ho mai detto che il cinema contemplativo è per forza un grande cinema ("Shell", a mio parere, non lo è, o lo è in parte), ho detto che il cinema di Tarr è grande e risulta grande se analizzato attentamente. Dopodiché, mi pare che io e te non saremo mai d'accordo perché, appunto, non credo che ci si debba fermare a una visione, anzi penso che una prima e unica visione possa risultare fuorviante, e, soprattutto, penso che per apprezzare un film (d'autore) si debba in qualche modo conoscere la poetica di quell'autore, altrimenti "Fino all'ultimo respiro" o "Due o tre cose che so di lei" sono film spiantati, carini ma niente di più... figurati a parlare de "Il disprezzo"! Le offese, d'altra parte, le hai tirate facendo il radical chic postmoderno che affianca a Tarr i Griffin e lo riferisce alla pornografia, facendo però poi il piangina quando qualcuno gli risponde a tono. Poi, onestamente, affari tuoi se non sei riuscito ad apprezzare 'sto filmone, cioè alla fine chi non ne gode sei te, mica io.

Upuaut (ha votato 2 questo film) alle 10:34 del 30 luglio 2013 ha scritto:

PS x poor Yorick: non ho ancora letto il tuo articolo, ti faccio sapere appena lo faccio.

PS x alexmn: no, non è per niente accostabile a Lacan, altrimenti sarebbe un altro film (riuscito probabilmente visto che le fondamenta erano buone)

nottambulo (ha votato 10 questo film) alle 4:53 del 7 aprile 2014 ha scritto:

non conoscevo Bela Tarr e non sono un suo seguace fedele, ma questo film è piaciuto tantissimo! Nei suoi lunghi piani-sequenza assolutamente non ho trovato il vuoto, anzi hanno catturato la mia attenzione e fatto apprezzare espressioni, emozioni e capacità interpretative degli attori. Buona la scelta del bianco-nero, ottima la fotografia. Lo rivedrei volentieri una seconda volta senza stancarmi.