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9/10

Snowpiercer regia di Joon-ho Bong

Fantascienza
recensione di A. Graziosi & Francesco Ruzzier

2031. Dopo il fallimento di un esperimento per contrastare il riscaldamento globale, una vera e propria Era Glaciale stermina tutti gli abitanti del pianeta. Gli unici sopravvissuti sono i viaggiatori che hanno lottato con tutte le loro forze per procurarsi un biglietto ed aggiudicarsi un posto a bordo dello Snowpiercer, un treno ad alta velocità che fa il giro del mondo e che trae energia da un motore in moto perpetuo. Questo treno è l’unico mezzo che garantisce la sopravvivenza, diventando un microcosmo di società umana diviso in classi sociali: i più poveri stipati nelle ultime carrozze; i più ricchi nei lussuosi vagoni anteriori. La difficile convivenza ed i delicati equilibri tra classi non potranno che sfociare inevitabilmente verso lotte e rivoluzioni.

Alessandra Graziosi:

Uno dei film più attesi e apprezzati della VIII Festa Internazionale del Cinema di Roma, Snowpiercer di Joon-Ho Bong non delude assolutamente le alte aspettative, al contrario le rilancia rivelandosi una pellicola in grado di trattare – e con cognizione di causa - alcune delle più grandi questioni più controverse della società, cultura, stile di vita occidentali e non solo.

Si tratta dunque di un'eccellente prova da parte di Joon Ho Bong (The Host, Mother) come regista e del famosissimo Chan-wook Park come produttore, il quale ha visto davvero lungo nell'imbarcarsi in questo progetto che è diventato il primo film coreano campione al box office distribuito praticamente in tutto il mondo (oltre 167 paesi).

Il cuore letteralmente pulsante di tutto è il treno di lusso ad alta velocità Snowpiercer che appunto dà il nome al film e che offre una metafora semplicemente geniale (traslata dal fumetto francese Transperceneige) e perfettamente calzante di una società a compartimenti stagni in cui i poveri muoiono di freddo, e sono costretti a lungo a farsi la guerra tra loro, mentre i ricchi sguazzano allegramente nei piaceri e lussi più inutili. Fuori dal treno, il nostro mondo totalmente ghiacciato e innevato a causa di un folle tentativo di combattere chimicamente il global warming. Fuori dal treno, che ha un motore perpetuo come la macchina industriale-capitalistica, aleggia il fantasma della morte per isolamento e fame soprattutto, concretizzato da rottami di aereo tra la neve montana che non possono che richiamare alla memoria la tragedia e il terrore atavico della situazione vissuta realmente nel '72 dai cannibali delle Ande. Fuori dal treno, una natura madre-matrigna che come contrappasso fa accettare ai protagonisti per ben 17 anni una situazione di rigidità sociale assoluta e umiliante perché, come troneggia l'etica dell'ordine costituito e oramai determinato dettata dal personaggio di Tilda Swinton, una scarpa non si mette mica in testa, sarebbe semplicemente ridicolo, una scarpa con il suo piede deve stare al suo posto, allo stesso modo degli abitanti dell'ultimo vagone del treno che già dovrebbero ringraziare per il solo fatto di poter sopravvivere grazie all'ipotetica bontà del padrone del treno.

E in tutto ciò non si poteva fare a meno di omaggiare il maestro della fantascienza distopica al cinema che è Gilliam, il cui nome è condiviso dal vecchio capo della resistenza interpretato da John Hurt: non si può non pensare alla fuga di Jonathan Pryce in Brazil, in particolare nella seconda parte del film.

Snowpiercer riesce infatti ad unire al distopico anche l'ironia e il grottesco e riesce anche a mantenere un forte e anti-retorico distacco (molto poco occidentale) nei confronti dei personaggi, a cui lo spettatore non può fare a meno invece di affezionarsi viste le difficoltà che vivono, il loro coraggio di ribellarsi nonostante la fragilità e visto anche che sono interpretati da attori così famosi e “simpatici”, con cui è inevitabile entrare in empatia, come ad esempio il già citato John Hurt, ma anche Jamie Bell (Billy Elliot) e Octavia Spencer (The Help).

Forse il meno empatico di tutti è proprio volutamente il protagonista Curtis/Chris Evans, anche lui molto in parte ed adatto per il ruolo di guida della rivoluzione e per i particolarissimi inaspettati e molteplici risvolti che prenderà questa nel film, che si rivela una continua sorpresa capace di stupirci e al tempo stesso sollevare tematiche delicatissime, attuali e ataviche al tempo stesso: il terzo mondo, la guerra tra poveri, l'endemicità o meno delle rivolte nei paesi in via di sviluppo, la sovrappopolazione e il terrore che essa incute ai livelli alti, la questione ambientale, l'homo homini lupus. In Snowpiercer c'è davvero tutto, visto dall'alto del distacco di una cultura, quella della tigre asiatica sudcoreana, che relativamente da poco e in tutta fretta, rispetto a noi europei, è salita definitivamente “su questo treno ad alta velocità di lusso” e che quindi è perfettamente in grado di non fare sconti nel raccontare i meccanismi e le paure che giostrano buona parte del gioco sociale capitalistico occidentale.

Da non perdere. Per nessun motivo.

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Francesco Ruzzier:

Nella storia del cinema di fantascienza è stata messa in scena più volte l’idea di un mondo suddiviso in classi sociali, in cui solitamente il protagonista, appartenente ai “piani bassi”, decide di destabilizzare l’ordine delle cose per guadagnarsi una vita migliore. L’apice insuperato di queste distopie fantascientifiche resta Metropolis di Fritz Lang, dove il teatro della vicenda era una città organizzata a strati gerarchizzati dal basso verso l’alto, in cui gli operai erano costretti a popolare il sottosuolo mentre i ricchi abitavano gli sfavillanti grattacieli. In Snowpiercer l’unico luogo in cui si svolge l’azione è un lungo treno, che sviluppa la stratificazione della città del film di Lang in senso longitudinale partendo dalla coda, riservata ai poveri, fino ad arrivare alla locomotiva in cui vive il padrone ed inventore del treno.

Il lungo susseguirsi dei vagoni viene più volte descritto come un ecosistema chiuso, in cui gli equilibri sono essenziali per la sua esistenza. A voler scardinare l’ordine delle cose sono i passeggeri dei vagoni di coda, che decidono di mettere in atto un piano per arrivare alla locomotiva e destabilizzare la struttura gerarchica del treno. Ecco quindi che l’equilibrio necessario a rendere funzionante l’ecosistema in cui gli ultimi abitanti della terra sono costretti a vivere diventa immediatamente la metafora di un’immobilismo sociale a cui è necessario ribellarsi.

Da subito Snowpiercer dimostra di avere le carte in regola per percorrere il doppio binario della spettacolarità del film di genere coniugata a riflessioni pessimiste solitamente bandite da ogni tipo di blockbuster hollywoodiano. Ad esaltare al meglio l’esplosività del film è sicuramente la regia del sudcoreano Bong Joon-ho, che è riuscito a trasformare i limiti di spazio dei vagoni in punto di forza delle scene d’azione, in cui la ristrettezza del campo visivo conferisce alle immagini un’efficacia non comune, in cui tutto è calcolato al millimetro apparendo però sempre dinamico, epico, spettacolare e senza cali di ritmo. Vagone dopo vagone, Snowpiercer accumula racconti di persone alla deriva, senza arti e assuefatte dalla droga, in attesa che una persona si faccia carico delle colpe di tutti e si sacrifichi per salvarle.

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Voto degli utenti: 7,7/10 in media su 11 voti.

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forever007 (ha votato 10 questo film) alle 16:02 del 22 marzo 2014 ha scritto:

Grandissimo film, recensioni un po' superficiali a mio avviso.

Slask (ha votato 8 questo film) alle 19:11 del 26 febbraio 2015 ha scritto:

I coreani ormai non hanno paura del confronto e danno lezioni pure quando approdano nel cinema occidentale.

Grandissimo Bong che sforna uno dei migliori sci-fi movies degli ultimi anni.

Marco_Biasio (ha votato 6 questo film) alle 15:34 del 5 agosto 2015 ha scritto:

L'idea di base era fantastica (sebbene ampiamente citazionista: ai riferimenti individuati da Alessandra io aggiungerei anche una certa estetica à la Park-Chan Wook e una scena, quella del braccio congelato e poi frantumato, che riprende quasi integralmente gli esperimenti di Men Behind The Sun), lo svolgimento non mi ha lasciato niente. Ci si trova subito catapultati nel cuore dell'azione (tanto valeva tagliar via quel prologo-non prologo), ma molte idee non hanno uno svolgimento coerente: molti personaggi sono appena abbozzati, c'è troppa action, i prolissi spiegoni del finale ammazzano inutilmente il ritmo. Visivamente ho apprezzato il film, ma c'era il potenziale per renderlo decisamente più coinvolgente di com'è venuto fuori. Chi ha una certa dimestichezza con la letteratura distopica tratterà il colpo di scena con il distacco confacente (è praticamente un topos: Huxley, Orwell, Zamjatin...). Le ultime inquadrature, l'indeterminatezza del futuro dei sopravvissuti sono forse la cosa migliore. P.S. Non ho letto il fumetto, ma pare che la storia del film sia ad esso ispirata solo in minima parte.