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5/10

Wara No Tate regia di Takashi Miike

Thriller
recensione di Giulia Bramati

 

Un gruppo di agenti di polizia riceve l’ordine di proteggere Kiyomaru, un assassino sulla cui testa è stata posta una taglia di mille miliardi di yen. Il viaggio verso il carcere di Tokyo diventa una difficile missione, soprattutto quando si scopre che tra gli agenti si nasconde una talpa.

 

Takashi Miike non soddisfa le aspettative del pubblico di Cannes, realizzando un banale film d'azione più vicino a Hollywood che al Giappone (e non casualmente co-prodotto dalla Warner Bros). Le prime inquadrature illudono lo spettatore di trovarsi di fronte ad una di quelle pellicole di Miike dove lo sperimentalismo e l'originalità hanno ampio spazio. Una scarpa adagiata in una pozza di sangue e un uomo immobile nel giardino adiacente ad un'abitazione si alternano nel primo minuto di "Wara no tate". La scarpa appartiene ad una bambina di 7 anni, brutalmente uccisa da Kiyomaru, un ragazzo violento che si era già macchiato di omicidio qualche anno prima. L'uomo in giardino è il nonno della bambina, che assiste impotente alla dolorosa perdita. La sua grande disponibilità economica spinge l'uomo ad annunciare che darà mille miliardi di yen a chiunque uccida Kiyomaru.

La polizia si ritrova quindi a dover proteggere questo assassino dalle innumerevoli aggressioni da parte di persone economicamente disperate, che sperano di ottenere la somma uccidendo quel mostro. Viene formata una squadra speciale, composta da diversi agenti tra cui Atsuko Shiraiwa e Kazuki Mekari, con il rischioso compito di scortare Kiyomaru fino al carcere di Tokyo. C'è azione, il film è ricco di inseguimenti, esplosioni, episodi di tensione, ma l'intreccio è banale e la pellicola risente di questo difetto soprattutto nella seconda parte.

Il regista precipita anche nel melodrammatico, accostando alla storia principale la vicenda personale dell'agente Mekari, la cui moglie è morta dopo essere stata investita da un autista ubriaco. I personaggi sono delineati in modo approssimativo, la ricerca della talpa all'interno del gruppo di agenti speciali non convince e anzi confonde lo spettatore, che capisce l'intenzione del regista di creare suspense, ma finisce per rendere ambigue le azioni dei protagonisti. È forte il tema della colpa che si insinua negli agenti di polizia, che contrasta con il loro profondo senso del dovere: è giusto proteggere un assassino e rischiare la vita per lui?

Il regista si è concentrato sull'azione, scegliendo un montaggio rapido alla Hollywood e rinunciando alle peculiarità che tanto lo hanno caratterizzato nelle sue pellicole precedenti.

Sorge spontaneo un confronto con il suo film "Big Bang Love, Juvenile A" (2006), i cui protagonisti sono assassini condannati al carcere. Se in quell'occasione, Miike ha dato prova di una fervente capacità creativa, giocando sull'intensità dei colori della fotografia e sull'ambiguità dell'intreccio, qui tralascia questi aspetti per dare vita ad una pellicola poco accattivante, più ricca di effetti speciali ma decisamente povera di sperimentalismo.

Va sottolineata una nota di merito per il regista, o forse per Kazuhiro Kiuchi, autore del libro da cui è tratto il film. All'inizio della pellicola, infatti, i protagonisti fanno riferimento alla difficoltà delle donne giapponesi nel fare carriera all'interno della polizia. Questa discriminazione colpisce Atsuko, la quale, pur essendo un ottimo agente, è anche una madre single, elemento che sfavorisce una sua eventuale promozione.

L'inserimento di "Waba no tate" nella Sélection officielle risulta poco indicata. Ben più interessante era stata la pellicola che il regista aveva presentato lo scorso anno a Cannes, “Ai to makoto”, nella sezione Fuori Concorso.

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