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R Recensione

6/10

Himizu regia di Shion Sono

Drammatico
recensione di Alessandro Giovannini

Sumida (Shota Sometani), 14enne che (non) gestisce con la madre un'attività di noleggio barche, passa le sue giornate nella noia, subendo le angherie di un padre assente che si fa vivo solo per chiedere soldi, l'irresponsabilità di una madre dissoluta e sbandata, la mancanza di amici. Accanto alla catapecchia dove vive si è formata una piccola comunità di senzatetto che hanno perso tutto a seguito del disastro ambientale e vivono nelle tende. Sono l'unica compagnia di Sumida, che comunque è un ragazzo ombroso e scorbutico con tendenze antisociali. A nulla serve la premurosa attenzione che gli dedica una compagna di classe, Chazawa (Fumi Nikaido), che anzi è da lui maltrattata. Quando la madre di Sumida lo abbandona al suo destino per seguire un tizio, Sumida subisce le angherie di un gruppo di strozzini verso cui la madre era debitrice. La situazione per il ragazzo si fa disperata, tant'è che egli lascia la scuola e si rinchiude sempre più in se stesso ("himizu" vuol dire "talpa").

Per spiegare quanto questo film sia intricato basta considerare l'inquadratura finale: una carrellata laterale (speculare a quella di apertura) su un villaggio in macerie, con l'esortazione extradiegetica fatta da Chazawa nei confronti di Sumida a non arrendersi. In questa breve scena si intrecciano tre livelli di lettura. Il primo è strettamente legato alla trama del film: la co-protagonista esorta il protagonista a far fronte alla vita nonostante tutte le insidie che essa gli ha piazzato davanti, perché nonostante tutto la sua esistenza merita di essere vissuta; questo livello, che potrei definire di tipo esistenziale, può essere interpretato come un invito a ciascuno spettatore a vivere la propria esistenza assumendosi le responsabilità delle proprie azioni e senza arrendersi di fronte alle difficoltà, più o meno grandi, che tutti noi affrontiamo quotidianamente.

Il secondo livello è socio-politico: Sion Sono, per bocca di un personaggio, esorta il Giappone, paese fiero che è stato capace di rimettersi in piedi dopo la WWII diventando una delle principali economie mondiali, a rialzarsi ancora una volta per affrontare tutti insieme questa nuova sfida; il terzo è di portata più universale, potremmo dire filosofico: il regista riflette sulla piccolezza dell'individualità umana specie riguardo la sua capacità decisionale, ostacolata da eventi esterni alla volontà del singolo che sembrano lasciare poco spazio alla possibilità di cambiamento intentata da un atto volitivo personale. Eppure questi ostacoli non devono incentivare l'accidia, bensì stimolare l'azione, in particolare l'azione morale, la quale esiste a priori, prima che qualunque legge o pronunciamento la normativizzi, stabilendo cosa sia giusto e cosa non lo sia (d'altronde già Cicerone lo scriveva: "Sumus ad iutitiam nati neque opinione sed natura constitutuum est ius). Così, attraverso la decisione autonoma e consapevole di compiere un'azione rivolta alla giustizia ed al benessere collettivo, si proclama la propria autonomia, la propria maturità (il film è in fondo un classico racconto di formazione, un passaggio all'età adulta attraverso l'assunzione di responsabilità). E se un'azione singola può non fare una gran differenza, un'azione collettiva può essere più forte di qualsiasi ostacolo (una calamità naturale  quanto un gruppo di strozzini).

La verbosità del film, la sua ridondanza, i suoi eccessi e le sue ripetizioni, sono certo in parte il risultato di una veloce riscrittura e di strettissimi tempi di consegna (il film ha esordito a Venezia il 5 settembre 2011; lo tsunami, vi ricordo, si è abbattuto sul Giappone l'11 marzo), nonchè dell'emozione del momento che avrà portato il regista a volervi inserire bozze di discorsi e riflessioni poi non sufficientemente sviluppate; ma è altrettanto vero che il suo "fluere lutulentulus" (per restare in ambito latino) è derivazione di una difficoltà di incasellamento dei tre registri sovramenzionati nell'arco di tutto il film, che tenta di rivolgersi contemporaneamente a: i singoli giapponesi in quanto esseri umani, i singoli giapponesi in quanto giapponesi, i singoli uomini non giapponesi in quanto esseri umani. Un impresa non da poco, che porta inevitabilmente a squilibri (narrativi: diramazioni di trama appena abbozzate, finale aperto inappagante e sconclusionato) e scompensi (di scrittura: molti personaggi solo abbozzati, altri, i protagonisti, caricati di una complessità interiore un po' difficilmente riconducibile ad adolescenti quattordicenni; di montaggio: ritmo incerto, fotografia/scenografia incerte fra il realismo "poetico" delle sequenze finali e l'iper-realismo degli ambienti degradati; di musiche: spesso troppo enfatiche o almeno eccessivamente presenti).

Malgrado i suoi difetti di forma, la sua corposa sostanza ne fa un film valido, supportato da un cast notevole, sia per quanto riguarda il protagonista (l'attore ha 19 anni, non 14) sia per diversi comprimari, nonché per il solito gusto registico di sviluppare la vicenda in modo anomalo, con conseguente imprevedibilità dell'intreccio.

Tratto dal manga omonimo di Minoru Furuya.

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alejo90, autore, alle 10:59 del 7 agosto 2012 ha scritto:

Info aggiuntiva: il film era stato concepito prima dell'incidente di Fukushima; la sceneggiatura era già pronta e Sono stava per iniziare le riprese, quando si verificò lo tsunami. Il regista riscrisse quindi velocemente l'intera sceneggiatura per riadattarla agli eventi in corso. Questo spiega gran parte del senso di incompiutezza e di mistero che aleggia durante la visione del film.