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6/10

The Wolfman regia di Joe Johnston

Thriller
recensione di Dmitrij Palagi

Benicio Del Toro interpreta Lawrence Talbot, un nobile tormentato, che in seguito alla scomparsa di suo fratello, fa ritorno nella proprietà  di famiglia, da dove mancava da lungo tempo. Là Talbot ritrova suo padre (Anthony Hopkins) e nel corso delle sue indagini per ritrovare il fratello, scoprirà  che un essere dalla forza bruta e assetato di sangue sta mietendo vittime fra gli abitanti di Blackmoor e che un sospettoso ispettore di Scotland Yard di nome Aberline (Hugo Weaving) è giunto sul luogo per indagare.

 

Austero e compatto. Rapido nelle azioni e riflessivo nell'essenza.

Un film che facilmente non piacerà, nonostante le vesti da blockbuster. Il risultato è probabilmente frutto di un processo travagliato, con cambio di regia e riscrittura della sceneggiatura a pochi giorni dalle riprese. Di sicuro non è un giocattolo ad uso e consumo della coppia Del Toro-Hopkins, nomi illustri che ricordano l'interpretazione di Nicholson in Wolf, la belva è fuori, senza quindi particolari risultati rispetto a quanto ci hanno abituato.

Il volto cinematografico del Che si presta a un remake della sceneggiatura di Curt Siodmak (L'uomo lupo, 1941). L'omaggio al minimalismo statunitense degli anni '30-'40, con le influenze di Tim Burton e un tocco shakespeariano che ricorda il debito della tragedia con il mondo greco. La visceralità, il sangue, opposti alla decadenza della materia. La bellezza come elemento primordiale, il labile confine tra l'uomo e la bestia. Con una cadenza regolare, scandita dal realismo e dalla schiettezza, si intrecciano al tema classico della licantropia quello della malattia, del trattamento riservato ai diversi (manicomio), del razzismo (verso gli zingari), dei sentimenti morbosi. L'ambivalenza dell'essere umano, la superficialità della civiltà. Non c'è grande attenzione all'horror, più che altro sembra che si voglia rendere omaggio al romanzo nero ottocentesco, denunciando l'ipocrisia puritana e lasciando le mode di Twilight ad altri registi.

Nonostante sia stata rivista, alla sceneggiatura di Andrew Kevin Walker (Seven, Il Mistero di Sleepy Hollow) vanno i meriti maggiori, mentre sul fronte della recitazione il primo posto va a Hugo Weaving, fino ad oggi sostanzialmente sottovalutato.

Come da tradizione Universal si punta molto all'”immagine iconica del trucco” (Benicio Del Toro), affidato al leggendario Rick Baker (deludente), accompagnato dall'altrettanto storica costumista Milena Canonero (fra gli altri film, Barry Lindon e Arancia Meccanica). La colonna sonora non splende (Danny Elfman aveva già avuto modo di cimentarsi ne Il mistero di Sleepy Hollow), mentre funzionano i suggestivi esterni del Derbyshire.

Joe Johnston è un regista dell'epoca passata (Jumanji e il meno noto ma dolce Pagemaster), fosse nato qualche anno prima avrebbe probabilmente ottenuto maggiori successi.

Del Toro ha voluto produrre una pellicola difficile, incapace di entusiasmare pubblico e critica, deludente per chi lo vorrebbe solo in film impegnati.

Nonostante l'assenza di originalità il gusto ottocentesco il film riesce a costruire un'aurea di fascino non disprezzabile, anche se più macchinosa (e meno riuscita) rispetto allo Sherlock Holmes di Guy Ritchie (2009).

Una pellicola potenzialmente capace di far rinascere un genere e riportare alle glorie la licantropia (oggi su acque di nicchia), si riduce a prodotto per gli appassionati e gli amanti del gotico (o degli attori in campo).

Un lupo non particolarmente feroce ma dall'indiscutibile fascino.

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Voto degli utenti: 3,5/10 in media su 2 voti.
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