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8/10

L’Invenzione di Morel regia di Emidio Greco

Fantascienza
recensione di Francesco Carabelli

Su un isola sperduta si muovono strani esseri umani che sembrano vivere in un’altra epoca. Un naufrago fa la loro conoscenza e scopre a poco a poco la verità.

Primo lungometraggio del regista Emidio Greco (il suo film più recente è Notizie dagli scavi del 2011), recentemente scomparso, il film narra le vicende di un naufrago su un isola sperduta e apparentemente disabitata.

Il naufrago (impersonato dall’attore veronese Giulio Brogi) esplora l’isola e si imbatte in una costruzione imponente, costruita con un indubbio stile anni ’20 del XX° secolo.

All’interno della costruzione trova arredamento d’epoca e dei strani macchinari elettrici, che cerca di rimettere in moto.

Torna a scorrere l’acqua potabile e l’ambiente si illumina grazie alla corrente elettrica, ma non solo. Al ritorno da una breve passeggiata, l’uomo si imbatte in altri simili, vestiti però con abiti d’epoca e con i quali non riesce ad interagire. Questi esseri umani ripetono una serie di vicende e di dialoghi, quasi meccanicamente.

Il naufrago si innamora di una delle donne che abitano l’isola, Faustine (impersonata dall’attrice Anna Karina), e cerca di aprirsi con lei, senza tuttavia riuscire a ricevere una risposta.

Quale mistero si nasconde sotto queste sembianze umane? Il naufrago è sempre più rapito dalle vicende che si svolgono sull’isola e finalmente arriva a capire la verità.

Uno scienziato di nome Morel ha architettato il tutto per eternare la vita di un gruppo di suoi amici e conoscenti che nel 1929, vissero una settimana di vacanza nella casa-museo. Il naufrago ha a che fare con delle riproduzioni animate, molto fedeli agli originali, ma non con dei veri e propri uomini. Morel ha ricostruito sembianze umane riconoscibili al tatto, alla vista, all’udito, all’odorato, dotate di una propria coscienza, al fine di poter rendere eterna quella vita.

In questo senso Emidio Greco sembra svolgere una riflessione meta-cinematografica. Anche il cinema eterna in due o tre dimensioni la vita degli attori, raccontandoci storie e permettendo di conoscere persone nel loro essere anche a distanza di cento o più anni. Questo vale per il cinema, ma anche per i filmati amatoriali, che in qualche modo eternano i ricordi familiari o amicali.

Ma vi è anche la possibilità del naufrago di interagire a suo modo con questi simulacri e quindi il film di Greco si fa precursore in qualche modo, della realtà virtuale che solo ad inizio anni novanta trovò sua larga diffusione, grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche.

Il film di Greco è girato con dovizia di particolari, con cura per le ricostruzioni costumistiche, architettoniche e musicali (musiche del premio Oscar Nicola Piovani) e si rifà all’opera dello scrittore argentino Adolfo Bioy Casares, amico di Borges e da lui influenzato nella sua scrittura.

L’opera di Casares è ambientata in un’isola tropicale, mentre Greco, per questioni economiche ambienta l’opera a Malta, nel Mediterraneo, utilizzando le magnifiche vedute solitarie di una parte dell’isola e giocando molto sull’utilizzo del colore azzurro in contrasto con il bianco dei vestiti e il marrone della terra. Una fotografia curata e un montaggio che sfrutta molto le dissolvenze, quasi a ricreare filmicamente le cesure, nel ripetersi settimanale degli eventi, legato alla forza delle maree che mette in moto i generatori elettrici.

Il finale ci sorprende, perché quella macchina che riproduce la vita ed è in grado di eternarla è, nel contempo, capace di accorciare la vita reale di quegli esseri o elementi che riproduce, in questo senso il regista sembra mettere in luce le conseguenze della tecnologia, che facilita la vita umana, ma può, talvolta, incidere negativamente sulla durata della stessa.

Il film ebbe una felice accoglienza a Cannes e divenne parte integrante di una mostra itinerante nei principali musei di arte contemporanea europei.

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