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7/10

Uomini di Dio regia di Xavier Beauvois

Storico
recensione di Francesco Carabelli

Un gruppo di monaci cistercensi vivono nell'Atlante algerino e si trovano a doversi confrontare con il terrorismo islamico che minaccia il paese.

Con questo film il regista francese Xavier Beauvois ci dà uno spaccato della vita monastica di un gruppo di monaci cistercensi, come già era riuscito Philip Gröning ne Il grande silenzio.

La vita dei monaci è scandita dalla regola benedettina dell’ora et labora: momenti di lavoro nei campi, volti alla coltivazione per la sussistenza (autoconsumo e vendita dei prodotti dell’orto al mercato) si alternano ai momenti di preghiera, in cui forse emerge meglio il senso di comunità, nell’unità della preghiera.

A questi momenti si aggiungono i momenti di studio personale e di approfondimento della propria fede nella lettura di testi sacri.

Ciò che contraddistingue questa esperienza religiosa è il contatto con la cultura araba, essendo il monastero sito sulle montagne dell’Atlante in Algeria.Il contatto con queste genti è una cura verso di loro, corporale ma anche spirituale.

Il monastero offre un servizio di infermeria per le popolazioni locali, grazie alla presenza di un monaco medico e contemporaneamente vi è anche un contatto con le autorità spirituali del paese, contatto che porta a vivere assieme alcuni momenti in un rispetto reciproco pur nella diversità della fede.

La situazione tuttavia nell’Algeria degli anni ’90 è precaria. Un golpe militare ha acceso il conflitto interno con gli islamisti che, scatenati, hanno iniziato ad uccidere cristiani e non osservanti.

Anche nella regione dell’Atlante dei lavoratori croati amici dei monaci vengono sgozzati e al monastero inizia a serpeggiare una certa inquietudine, fino al momento in cui i monaci devono confrontarsi direttamente con questi terroristi, che sono in cerca di medicinali e di assistenza medica per curare i propri uomini.

La determinatezza dell’abate Christian permetterà ai monaci di evitare di scendere a patti con i terroristi e di essere rispettati nella loro difesa della pace. I monaci potranno così celebrare il Natale dopo poche ore, ringraziando Dio per la loro incolumità. A questo momento culminante segue un periodo di lunga riflessione sulla permanenza o meno della comunità di religiosi nella regione. Le indecisioni iniziali vengono tuttavia superate nella convinzione che la propria missione è restare nell’Atlante e prestare il proprio servizio spirituale nell’amore verso il prossimo. La stessa comunità islamica esprime solidarietà ai monaci e le guide spirituali affermano l’importanza della permanenza dei religiosi nella regione come salvaguardia della pace contro gli eccessi violenti del terrorismo religioso islamico. Il regista è abile nel mettere in luce la titubanza dei confratelli e le difficoltà della testimonianza della propria fede, certi tuttavia che l’obiettivo finale non è il martirio ricercato a tutti costi, ma la manifestazione del proprio amore, così come Cristo fece dalla Croce. Beauvois ripercorre i momenti della passione di Gesù con una costruzione che ne ricalca alcuni momenti culminanti come l’orto degli Ulivi (il primo confronto con i terroristi nell’imminenza del Natale) e la salita al Calvario (il finale ove sette dei nove monaci della comunità percorrono con i terroristi il cammino che li porterà alla propria morte). Film ricco di significati e giocato sull’alternanza di silenzi e canti, non punta ad attirare l’attenzione dello spettatore da un punto di vista stilistico, risultando abbastanza ordinario nella fotografia e nella costruzione lineare dell’intreccio, ma è capace di far riflettere lo spettatore sulla missione di amore di questi monaci che con la loro presenza discreta si fanno latori di un messaggio di amore e di speranza per un popolo in balia dell’odio terroristico. La storia narrata nel film si basa su fatti realmente accaduti negli anni ’90 ad un gruppo di monaci francesi in Algeria. Il film ha ricevuto il Gran premio della Giuria al Festival di Cannes del 2010.

 

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alexmn 8/10

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