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8/10

The Fog regia di John Carpenter

Horror
recensione di Riccardo De Franco

Sulla cittadina di Antonio Bay scende una nebbia misteriosa che avvolge tutto e lascia cadaveri al suo passaggio. Il ministro locale, Padre Malone, scopre un diario segreto di suo nonno risalente a 100 anni prima che narra di un atto di infamia perpetrato nei confronti dell'equipaggio di un battello carico di lebbrosi: il gruppo di sventurati voleva stabilirsi nell'allora colonia di Antonio Bay, ma sei fondatori della cittadina, tra cui l'antenato di Malone, fecero scontrare il battello sulle scogliere e sequestrarono un carico d'oro ritrovato nelle stive.

Nel giorno del centenario della cittadina, costruita con quell'oro maledetto, l'equipaggio dell'Elizabeth Dane è tornato per reclamare sei anime e vendicarsi sui discendenti dei loro assassini.

Quando si parla di “film minore” con riferimento ad un tassello della filmografia di John Carpenter bisogna sempre soppesare il valore con cui si applica tale giudizio. Non perché il regista in questione sia esente da cadute di stile o incidenti di percorso (fortunatamente esigui), ma piuttosto perché all’interno di una carriera talmente vasta e variegata persino le opere minori possono suddividersi ulteriormente, tra film dimenticabili e perle da riscoprire. The Fog rientra decisamente nella seconda categoria, una perla che all’epoca dell’uscita, dopo il clamore suscitato dal celebre Halloween, aveva sulle spalle un compito non facile: uscito due anni dopo l’exploit dell’inquietante film su Michael Myers, The Fog era il primo film con cui Carpenter doveva concretamente battere sé stesso; Assault On Precinct 13 (Distretto 13: Le brigate della morte) aveva avuto un ottimo riscontro di pubblico e critica, ma Halloween era andato ben oltre, incassando cifre da blockbuster e dando forma per la prima volta ad un movimento che di lì a poco avrebbe plasmato la cinematografia horror dei successivi vent’anni, (il sottogenere slasher).

Una delle caratteristiche che da sempre ha contraddistinto il Maestro dell’horror (e che ne ha anche sancito il persistente conflitto con Hollywood e con i botteghini) è la capacità di realizzare spesso progetti completamente diversi dai precedenti, accomunati magari dagli stilemi tradizionali del suo cinema, ma perfettamente identificabili nella loro unicità: The Fog non fa eccezione, e anziché riproporre la formula vincente del film precedente si innesta nel filone delle ghost-stories, che Carpenter esplora tracciando nuovi livelli del terrore, meno crudi e sanguinolenti rispetto a quelli mostrati due anni prima, ma arricchiti da un’atmosfera sempre più ricercata, e supportata da un comparto tecnico ormai ben rodato ed efficiente.

Curiosi tuttavia sono alcuni punti di contatto con Halloween che si possono rintracciare: A partire dalla trama, anche in The Fog abbiamo a che fare con una piccola cittadina che durante una notte di celebrazioni e festeggiamenti viene sconvolta da eventi terribili legati alla storia del posto, ed in particolare ad una maledizione; ritorna l’elemento della storia da incubo che si tramanda ai giovani, anche se in questo caso gli ignari abitanti di Antonio Bay hanno a che fare non con uno, ma con un intero gruppo di assassini demoniaci, e gli antefatti risalgono a ben 100 anni prima, quando degli sventurati marinai furono brutalmente uccisi dall’avidità dei fondatori della città. Altro punto di contatto con la pellicola precedente è il cast: da una parte ritroviamo la giovanissima Jamie Lee Curtis che aveva esordito proprio nel film del ’78 (e che qui recita insieme alla madre Janet Leigh), dall’altra si avvia la collaborazione con Tom Atkins, che avremmo ritrovato poi nel terzo capitolo di Halloween, con Carpenter nelle vesti di produttore.

Le musiche neanche a parlarne accompagnano perfettamente il tono del film e confermano uno di quegli elementi che di lì a poco sarebbe diventato un marchio di fabbrica inconfondibile delle produzioni carpenteriane. Infine la peculiarità della “vendetta ancestrale” messa in atto dalla ciurma maledetta è la nebbia che dà il titolo al film, e che nelle mani di un narratore del calibro di Carpenter fornisce un elemento scenografico estremamente affascinante. Il contributo fondamentale però è fornito da Dean Cundey, direttore della fotografia che collabora per la seconda con il regista. La coltre grigia che si estende sulle acque prima e sulla terraferma poi è il pretesto perfetto per una messa in scena sintetica ed efficace, poiché nonostante un budget triplicato rispetto alla sua precedente produzione, il regista si avvale di effetti scenici semplici e minimali che da soli instillano il terrore: il fumo utilizzato sui set viene manipolato e modellato quasi fosse una scultura eterea, e i maestosi giochi di luci, colori e ombre attuati da Cundey arricchiscono lo spettrale spettacolo visivo che si dipana davanti agli occhi delle sventurate vittime.

L’incedere della nebbia plasma anche l’andamento della storia. Dopo un inizio al cardiopalma l'autore tira il freno a mano e intreccia le vicende dei protagonisti durante il giorno successivo; col lento dissolvimento dell’alone maledetto si alternano piccoli sobbalzi che pian piano aumentano d’intensità fino al catastrofico finale. Una delle principali critiche che si possono muovere a The Fog (in fondo parliamo sempre di film minore) è proprio il ritmo della narrazione, che procede a passo fin troppo sincopato. Caratteristica che non tutti riterrebbero necessariamente un difetto, ma è evidente che rispetto ad altre pellicole di John Carpenter che si prendono il loro tempo in maniera magistrale (pensiamo allo splendido e sottovalutato Prince Of Darkness), il montaggio può facilmente scoraggiare lo spettatore. Pare infatti che il film fu rimontato ben due volte, la prima perché il regista, reduce da una visione di Scanners (di D.Cronenberg) non era soddisfatto della poca violenza visiva presente nel film, la seconda perché la durata complessiva raggiungeva a malapena gli 80 minuti. L’altro reparto che mostra il fianco alle critiche è la sceneggiatura, che in più parti oscilla tra (voluta?) ambiguità e approfondimenti deboli. Diversi personaggi sono abbozzati al minimo indispensabile, e lo stesso “protagonista” (l’indecisione nell’inquadrare come tale il ruolo di Atkins è sintomatica) si ritrova spesso incastrato in snodi narrativi non perfettamente definiti (la love-story con il personaggio della Curtis è un altro sintomo).

Si diceva all’inizio di soppesare valori, e per chiudere il cerchio su questa opera filmica occorre tornare allo stesso concetto. The Fog è un ottimo esempio di cinema artigianale con oggettivi meriti, evidenziabili soprattutto nella messa in scena, ma mostra il fianco su alcuni fronti che solitamente questo regista non trascura. Quanto più siamo disposti a dare peso a queste lacune, nell’economia generale di una semplice storia di fantasmi, tanto più questa pellicola viene ridimensionata a minuscolo intermezzo tra due pilastri del cinema carpenteriano (Halloween e Fuga Da New York). Se altrimenti siamo disposti a lasciare offuscare e disperdere nella nebbia determinati dettagli, non si può non convenire che dall’esterno quello che filtra fino ai nostri occhi è una rappresentazione primordiale e ottimamente confezionata della paura.

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Slask 8/10
B-B-B 7/10

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