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7/10

Henri regia di Yolande Moreau

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

Henri ha da poco perso sua moglie. Gli rimane un ristorante da gestire e l'affetto della figlia, del nipote e degli amici, ma a lui non basta. Vuole vivere ancora e non pensare solo alla morte....

Il film, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2013, è la storia di un ristoratore belga di origini italiane (Henri), che perde la moglie e si ritrova ad affrontare la solitudine e la routine di una vita dedicata al proprio ristorante. Gli avventori del bar ristorante cercano di aiutarlo a superare questo momento e la figlia gli trova un’aiutante che possa dargli una mano nella gestione del locale, nel preparare i tavoli, nel servizio e nelle pulizie.

Si tratta di una ragazza con dei problemi mentali e che, per questo,  vive in una comunità protetta, assieme ad altre persone con problemi simili. Ma Rosette (questo il nome della ragazza) desidera una vita normale: la libertà, gli amici, l’amore e trova così in Henri un punto di riferimento,  innamorandosene.

Henri è avvezzo al consumo di alcool, forse per via della sua attività di ristoratore, forse perché cerca così di dimenticare il dolore per la perdita recente o cerca di vincere la solitudine.

Come Rosette, vuole vivere, non vuole darsi per vinto; vivere ed amare non dimenticando quanto è bello sentirsi parte del mondo. La sua passione per i piccioni e quella per la cucina lo aiutano a superare i limiti angusti della propria solitudine e a tornare a sperare. 

La coppia lavora nel ristorante e a mano a mano costruisce un legame che va oltre quello puramente lavorativo, diventando amicizia e poi amore, tanto che i due intraprenderanno un viaggio nelle Fiandre, che segnerà positivamente il loro legame,  ma ne metterà in luce anche i limiti.

La regista Yolande Moreau,  al suo secondo lungometraggio da regista (il primo da sola) si avvale di un cast di prim’ordine.  Attori protagonisti sono l’italiano Pippo Delbono, famoso attore teatrale (il cui film da regista, Amore Carne,  uscirà a breve in Italia) e l’artista francese Miss Ming, già vista in film come Mammuth e Louise-Michel,  scoperta per caso dal regista Benoît Delépine.

La Moreau si è anche  ritagliata un piccolo cammeo come attrice.

Molto significativa la partecipazione di un gruppo teatrale di attori diversamente abili che hanno impersonato i compagni di comunità di Rosette. Questo ci permette  di  riflettere sul valore della vita, qualunque siano le difficoltà o le malattie o menomazioni che una persona può aver subito, riflessione necessaria in un periodo come questo in cui in Belgio si sta discutendo sull’estensione dell’eutanasia ai minori di 18 anni.

La fotografia di Philippe Guilbert è molto efficace nelle riprese in esterni, soprattutto nelle riprese notturne a Middelkerke. Il montaggio è talvolta affrettato, lasciando poco spazio ad alcuni passaggi, meno importanti per l’economia del racconto.

La musica è presente, ma mai protagonista. La colonna sonora è composta da canzoni di varia provenienza (anche italiana). I dialoghi sono ridotti al minimo e tutto è molto giocato quindi sulla componente visuale.

Nel complesso un film leggero, che non si prende troppo sul serio, ma capace di smuovere lo spettatore, di emozionarlo, anche se talvolta la recitazione di Delbono è messa a dura prova, soprattutto nei primi venti minuti, nei quali il suo personaggio non pronuncia la minima parola. L’attore  riesce tuttavia a costruire un personaggio credibile non recitando mai solamente una parte, ma vivendola dall’interno e conquistando così le simpatie del pubblico.

Incoraggiamo la regista a continuare il suo cammino dietro la macchina da presa, sicuramente avrà ancora molto da dirci!

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