R Recensione

5/10

La prima luce regia di Vincenzo Marra

Drammatico
recensione di Lorenzo Ceotto

Marco è un avvocato, segue le sue giornate lavorative con estremo pragmatismo, è sposato con Martina, giovane donna latino-americana, ormai da diversi anni in Italia, che lavora nel reparto creativo di un’agenzia pubblicitaria, il loro matrimonio è in crisi. Fra di loro non c’è più molto dialogo, c’è un sostanziale distacco, lei è stanca, angosciata, non vuole più saperne dell’Italia, della crisi, di Bari e vuole andarsene, ritornare da sua madre in Cile. Mateo, il figlio di 8 anni, soffre di questa situazione ed è l’unico ponte di collegamento che rimane fra i due genitori. Marco freddo e distaccato, focalizzato fin troppo sulla professione, non si rende conto dell’insoddisfazione e delle difficoltà di Martina, non ne coglie le richieste. Perciò la giovane donna esausta della propria situazione e non vedendo nessun futuro in Italia decide una volta per tutte di fuggire, lo fa all’insaputa del marito, senza lasciare traccia, portando con sé il piccolo Mateo.

Il film di Vincenzo Marra parte nel momento in cui la storia tra Marco e Martina sembra essere già giunta al termine, un rapporto senza ritorno. Martina ha già deciso che vuole separarsi e Marco cerca di salvare il salvabile, senza scendere troppo a compromessi,  con l’intento di non perdere il figlio di 8 anni.

La prima parte del film racconta il periodo lacerante prima della fuga, in cui i due coniugi, separati in casa, provano ad accudire e salvaguardare il figlio nonostante tutto. Lo fa fin troppo lentamente, ed in modo distaccato,  i personaggi non trasudano empatia e non coinvolgono lo spettatore. La seconda parte che dovrebbe farsi più thrilling nella fase di ricerca del figlio perduto, non riesce mai ad alzare l’asticella della tensione ma si sofferma fin troppo sulla superficie delle sfumature burocratiche e di economia familiare, solo velatamente pedagogiche, senza approfondire e raccontare tratti psicologici potenzialmente interessanti. La storia appare una tantino scontata, scarna e superficiale, il raffazzonare di certi passaggi emerge in più di un controsenso del soggetto. Si tratta qua e là, quasi gratuitamente, i temi della crisi, ciò che ne esce non è niente di più che un ulteriore tocco su una nota dolente, mediante dei passaggi che più di una volta si esplicitano per luoghi comuni. La storia su un certo livello della narrazione sembra voler instaurare un collegamento fra Italia e paesi “in via di sviluppo”, raccontando senza torti ma con eccessiva ingenuità l’attualità del nostro paese con livelli di opportunità da terzo mondo, laddove anche in un paese “x” del Sudamerica c’è più futuro e ambizione che in Italia. Se erano questi gli intenti il risultato non è dei migliori, il nobile proposito si sgretola in passaggi del racconto di ingenua superficialità.

Le interpretazioni non sono entusiasmanti, in primis quella di Riccardo Scamarcio, a mio parere non abbastanza nella parte, non è esente da colpe la sceneggiatura, non riesce a far decollare i picchi d’angoscia di un padre spiazzato dalla realtà, disperato e alla ricerca del figlio di cui è stato privato ingiustamente. Sicuramente il film non è stato in grado di comunicare quanto è straziante una separazione per un padre che ama sopra ogni cosa il proprio figlio. Più convincente Daniela Ramirez nei panni di una madre prima esausta, scontenta e insoddisfatta e poi cinica, furba e spietata calcolatrice. Con l’avanzare del film, infatti, sembra che i ruoli si capovolgano, vi è un passaggio di testimone sulla condizione dell’essere prima vittima e poi carnefice dei due coniugi: se prima è Marco ad essere immerso nella freddezza e nel distaccato cinismo e Martina la vittima sacrificale sola ed angosciata, poi sarà quest’ultima a prendere in mano le redini del gioco e a mettere sotto scacco il marito. In questa evoluzione dei personaggi potenzialmente si poteva costruire il valore aggiunto al “drama” del film, ma ciò che ne risulta invece è di una tensione narrativa poco credibile e inconsistente.

La Prima Luce se non altro ha il pregio di essere un film sull’egoismo e di mettere in risalto adeguatamente questa componente, non sappiamo se fosse questa una delle finalità. Fondamentalmente Marco e Martina si somigliano, si complimentano proprio nell’alimentare questo elemento terminale dei rapporti coniugali e familiari, a discapito del povero Mateo che per tutta la durata del film non è altro che un bambino triste e abbandonato a se stesso. In fondo i suoi genitori non fanno che rimanere focalizzati su loro stessi e utilizzano un amore verso il figlio piuttosto ingannevole e di apparenza, più autoreferenziale che autentico. La buona uscita di una famiglia deve prescindere comunque dalla dimensione egoistica del singolo, a maggior ragione se questa è a favore degli adulti e a discapito dei più piccoli. La famiglia di Marco e Martina non riesce a prescindere da ciò e la disfatta è servita.

La pellicola anche se per certi aspetti si può apprezzare, a livello cinematografico e visivo oltre che per certe ambientazioni e fotografie è pulita e rispettabile, ha però troppi limiti, non coinvolge, non ci rapisce mai. Se viene inteso come un “One Man’s Movie”, forse il film avrà anche un discreto successo, il richiamo dell’attore di Trani è potente, probabilmente accorreranno in sala a vederlo, però non credo che ciò sarà sufficiente a renderlo un film riuscito.

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