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6/10

Mistress America regia di Noah Baumbach

Commedia
recensione di Lorenzo Ceotto

Tracy (Lola Kirke) è appena arrivata al college. Ha lasciato la sua casa d’infanzia e la madre vedova in procinto di risposarsi, per andare a studiare a New York. Non si trova molto bene, le aspettative che si era creata a Manhattan non la stanno entusiasmando; non conosce nessuno, si sente fuori logo, e sconsolata finisce spesso per passare le serate in monotonia.  La madre comprendendo la solitudine della figlia, la invita a contattare Brooke (Greta Gerwig), la sua sorellastra potenziale che vive a Times Square, figlia di quello che sarà il suo futuro marito.

Pur essendo orgogliosa, Tracy, in una delle tante sere di noia, troverà la forza di chiamare la sua futura sorella acquisita. Incontrandola verrà trascinata dall’energia e dalla sua intraprendenza. Brooke le farà vedere una New York diversa da quella che aveva vissuto fino a quel momento, cosparsa delle sfumature “glamour” che tanto si aspettava, un mondo fatto di luci, mondanità, ritmi forsennati e public relations a profusione. Tale incontro la influenzerà totalmente nel suo percorso di crescita e formazione, nonché nella scoperta di sé stessa e delle proprie velleità a ridosso dell’età adulta.

Ciò che risalta subito in questo Mistress America è la densità dello script consegnatoci in meno di 90 minuti di “pellicola”. Nella commedia svitata di Noah Baumbach, scritta a quattro mani con Greta Gerwig, il ritmo dei dialoghi e delle scene è molto serrato, non ci sono spazi vuoti, contemplazioni e pause. L’intento è quello di intrattenere lo spettatore, talvolta spiazzarlo, con la continuità e la quantità di contenuti che vanno a costituire l’evoluzione della traccia narrativa, enfatizzata anche con il cospicuo e sapiente utilizzo della colonna sonora. Il mood è quello tipico della commedia indipendente americana ambientata nel set della “Grande Mela”, in cui la fanno da padrone emozioni, sentimenti e nevrosi tipiche di una generazione che prova a realizzarsi nella “città che non dorme mai”.

New York, dunque, fa sentire il suo peso specifico nella scena, una città che cambia continuamente, in perenne trasformazione, alla quale è difficile tenere il passo. Così ci prova Brooke in una vita alla rincorsa, nella città della performance, a Times Square dove tutto va alla velocità della luce e si deve inseguire migliaia di progetti contemporaneamente, sommersi dagli impegni, con l’agenda satura per scelta o per necessità. Una realtà in cui o si aggredisce la vita, o si reprime, si sottrae e ci si lascia trascinare passivamente, in un contrasto che talvolta appare netto e dicotomico.

Spesso si finisce per fare tutto e niente, si costruisce i propri personaggi e la propria autostima su castelli di carta che si sgretolano facilmente. Da un momento all’altro le certezze e gli equilibri crollano. Un lieve movimento di un mattoncino e tutto cambia. Così le certezze delle persone apparentemente sicure vengono meno, come i tanti giovani business man performanti e divoratori di mondanità che pullulano a New York, apparentemente sicuri e “iperdeterminati”, continuamente alla rincorsa di nuove idee e nuovi affari, che poi palesano l’umana fragilità ed il loro equilibrio precario dinnanzi a un ritmo insostenibile. L’evoluzione che compierà nell’arco del film il personaggio di Brooke, che Greta Gerwig interpreta e regge molto bene, è un esempio perfetto di tale condizione. Brooke è l’emblema di questo stereotipo, donna ambiziosa con l’ossessione della prestazione, motivata a fare e creare cose continuamente, nell’era dell’immagine, del personal branding ai tempi dei social network, in cui ogni cosa degna di nota va postata su Twitter o Instagram. Tracy è affascinata dalla vitalità della sorellastra Brooke, ma spesso poi finisce con l’invidiarla e col criticarla più che imitarla, caratterizzando essa stessa la sua ambizione ed il suo individualismo.

Mistress America è una commedia schizofrenica ed amara. Il registro del racconto non esita ad essere al contempo spietato e cinico, servendosi di comicità e un sottile tono grottesco per dissacrare tanti risvolti patetici della contemporaneità. La continua rincorsa al denaro, alla fama, l’opportunismo, il crollo dei valori e dalla loro autenticità riecheggiano più volte sul film e sui personaggi che lo compongono. Il film è incentrato sul tradimento che va ad incrinare valori fondamentali come l’amicizia, la fratellanza e l’amore, non proprio valori da quattro soldi. Molte volte ci concentriamo su noi stessi e distruggiamo le vite degli altri senza neanche accorgercene.

In un faccia a faccia fra due generazioni, quella in balia della competizione e quella più giovane che si accinge ad entrarvi, il film di Baumbach si confronta spesso con l’aspetto creativo e le velleità che ricerchiamo in noi stessi, insieme al voler fare e realizzarsi a tutti i costi, con le conseguenti disfatte e frustrazioni. La vita reale può apparire bella e luccicante, ma non è per niente semplice, e talvolta aldilà delle ambizioni servono le persone care e dei rapporti umani solidi sui quali fare affidamento, se non altro per consolarci da una nuova sconfitta e provare ancora una volta a rialzarsi.

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