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8/10

Wild regia di Jean-Marc Vallee

Drammatico
recensione di Lorenzo Ceotto

La giovane Cheryl decide di dare uno strappo alla sua vita. Ha vissuto un’infanzia difficile ed ora un grave lutto l’ha messa a terra, è piombata in un buio esistenziale, dove galleggia fra sesso consumato e morboso, e dipendenze da alcol e droghe, il fondo è più che mai raggiunto. Decide allora di intraprendere da sola una dura prova per dare un senso a tutto il vuoto che ormai la pervade. Si arma dunque di uno zaino abnorme e pesantissimo, riempito di tutto l’occorrente per affrontare il Pacific Crest Trail (PCT, il Sentiero delle Creste del Pacifico), in un’escursione in solitudine dal Deserto del Mojave fino alla regione del Pacific Northwest.  Lungo il percorso sarà costretta ad affrontare le più difficili insidie in un viaggio selvaggio alla ricerca di sé stessa.

Wild è un lungometraggio tratto dall’omonimo bestseller autobiografico di Cheryl Strayed. Ad interpretarla nel film una bravissima Reese Witherspoon che scommette con coraggio in questo film tanto da produrlo oltre che interpretarlo. La direzione è affidata a Jean-Marc Vallée, signor regista di film sontuosi come C.R.A.Z.Y. e Café de Flore e candidato all’Oscar con l’ultimo Dallas Buyers Club. La sceneggiatura e di Nick Hornby (An education e About a boy). Suddetti credits lasciano trapelare che il progetto si preannuncia interessante, ancor più, conoscendo la capacità del regista franco-canadese di emozionare e colpire al cuore, elementi questi che sembrano calzare a pennello con il soggetto e la sorprendente storia della giovane Cheryl.

I temi sono quelli del viaggio, della colpa e della redenzione. Emergono a bizzeffe le dicotomie avventura e formazione, fuga e rinascita, paura e coraggio. Quindi il percorso selvaggio e primordiale per ritrovarsi, un percorso arduo, pericoloso, ma ciò che non uccide fortifica e spesso quando non abbiamo più nulla da perdere è proprio una prova estrema che ci porta a capire l’essenza di noi stessi. Ed ecco quella di Cheryl, una donna che cammina sola in zone selvagge per migliaia di chilometri a fare i conti con sé stessa e con i ricordi che riaffiorano, così piccola, fragile e impotente dinnanzi alla vastità incontaminata del mondo, della natura selvaggia. I paesaggi incontaminati e il ritorno alla dimensione animale di una donna sola nella natura, sono accompagnate dalle musiche sapientemente allegate e montate alle immagini. Alcune sequenze sono potentissime ed emotivamente pregne, sia nel visivo che nel sonoro. Vallée già c’aveva abituato ad un sapiente utilizzo delle musiche e del montaggio sonoro, qui ce ne offre un’ulteriore conferma.

Il film incede nella narrazione fra presente selvaggio e flashback che mettono chiarezza su cosa ha portato Cheryl alla scelta di intraprendere quell’ardua prova di coraggio. Nell’arco del racconto ci troviamo soli con Cheryl e le sue paure nel bel mezzo del deserto, per poi ritrovarci catapultati nei suoi flussi di coscienza, nei suoi ricordi, fra gioie e dolori, rimorsi e rancori. In questo senso, Hornby ha sfruttato in modo formidabile il coinvolgente soggetto di partenza redatto dalla Strayed, compilando una sceneggiatura ottima in grado di esaltare l’umanità, le relazioni profonde ed emozionali che contaminano le scelte e il percorso di crescita della protagonista. Hornby con questa prova conferma la sua capacità unica di raccontare il mondo femminile con la stessa efficacia e naturalezza di quello maschile che tanto lo ha reso famoso, un assaggio ce lo aveva già dato con An education, un altro brillante racconto sul mondo al femminile e sulla formazione di una donna.

Il registro è quello della cruda realtà, di non nascondere nulla, ma di dare talvolta un pugno allo stomaco allo spettatore, coinvolgendone senza filtri l’emotività e la sensibilità. Diciamo che Vallée non rimanda molto alle intuizioni, non nasconde granché, se c’è da vedere un unghia che si spezza o una dose di eroina in procinto di entrare in circolo non si risparmia e te la fa vedere, perché l’atto si certifica con la forma e il contenuto che ci rimangono impressi nella memoria, laddove la forza di un’immagine impattante si fa portatrice di significati, simboli e poetica anche nella sua cruda durezza necessaria.

La storia di Cheryl è una storia di dolore, della perdita di un amore, quello materno, della “pervasività” della malattia e dell’elaborazione di un lutto. Di una vita giovane che ormai sembra finire, densa e lunga, così piena e compiuta da giungere prematuramente svuotata, destinata a chiudersi per voltare pagina, per ricominciare. Per farlo grazie a un viaggio che significa redenzione ma soprattutto rinascita e ricongiunzione con l’essenza stessa. Un  viaggio che si compie su oltre mille miglia e all’interno degl’oltre mille pertugi dell’animo umano. Un viaggio sul mondo e attraverso il mondo, ma anche all’interno della coscienza e dello spirito. Per trovare un senso, per evadere, per fuggire da tutto ciò che è perdizione e per perdersi negli spazi selvaggi cercando se stessi.

Quello di Cheryl è un viaggio vero, quello più significativo e necessario verso la propria consapevolezza dopo altre evasioni ed espedienti autodistruttivi come le droghe ed il sesso meccanico, che non hanno fatto altro che isolarla ancora di più da quel poco che le rimaneva di veramente autentico. La lezione di vita si compie in solitudine, riflettendo sui rimpianti, sulle proprie perdizioni, cercando di perdonarsi, superando la vergogna e ricostruendosi, elaborando il dolore e trovandosi definitivamente.

Il viaggio di Cheryl è anche il viaggio che compie lo spettatore alla visione di questo film, nato da un progetto che si preannunciava interessante e che non ha deluso affatto le aspettative. Siamo di fronte ad una storia importante raccontata con un’opera e una maniera stilistica importante, che conferma lo straordinario talento di Jean-Marc Vallée e la capacità di raccontare impeccabilmente l’umanità e la profondità delle nostre vite, delle nostre avventure come quella straordinaria di Cheryl Strayed. Una capacità che in questo caso è stata coadiuvata anche dall’ottimo script di Hornby e dalla performance d’alto livello di Reese Witherspoon, attrice negli ultimi tempi  un po’ defilata  che grazie a questa pellicola, possiamo dirlo, si è rilanciata nuovamente in un certo cinema che conta.

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