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6/10

Good Kill regia di Andrew Niccol

Drama
recensione di Lorenzo Ceotto

Il Maggiore Thomas Egan (Ethan Hawke) combatte la sua guerra dinnanzi a un computer. Dalla sua postazione di Las Vegas, pilota droni che sorvolano e bombardano obiettivi mirati in Medio Oriente. Dopo una lunga esperienza come pilota di caccia in Afghanistan ed Iraq, si ritrova ogni giorno a combattere la sua missione da remoto, in una base nei pressi di Las Vegas, dove vive non lontano dal lavoro con la sua famiglia. Se non è nella sua postazione, il resto del tempo lo passa nella sua comoda casa con moglie e figli preparando barbecue e bevendo birra ghiacciata sotto il solleone del Nevada. La tranquillità di quel tipo di guerra, molto simile ad un videogioco, non gli piace, vuole nuovamente la prima linea, ritornare a bordo di un F-16. Questa frustrazione, presto si alternerà alla paranoia e metterà in discussione i suoi equilibri mentali, nonché quelli di tutta la famiglia.

A volte non basta avere un lavoro ben retribuito, essere in missione di guerra senza rischiare nulla dinnanzi ad una specie di videogioco.  Non basta essere vicini a casa, vedere i propri cari ogni giorno, non basta quando di mezzo c’è la guerra ed il delirio di chi l’ha vissuta e la vive in prima persona. Per taluni, come alcuni colleghi,  viverla da remoto è la condizione di tranquillità e meschina soddisfazione ideale, per altri, come Tommy, non lo è affatto. C'è di mezzo un conflitto nuovo, che si misura con l'innovazione tecnologica e che nonostante ciò, continua a comportare l’uccisione di troppi innocenti. Egan oltre a colpire degli obiettivi di guerra, uccide anche molti civili bombardando i territori dell’Afghanistan, lo fa dall’altra parte del mondo, seduto comodamente nella sua postazione come in uno “sparatutto” in prima persona. Thomas vive così la sua frustrazione, da temerario a vigliacco, non può accettarlo, gli manca l’adrenalina del volo sul territorio di battaglia, una sensazione non sfogata che provoca il suo malcontento, ha bisogno di ritornare a volare davvero, ma purtroppo per lui gli ordini sono ordini.

Good Kill è un film dove anche se non sembra, si spara eccome, con una potenza devastante. Tutto si osserva e si vede da un monitor, attraverso la postazione di Tommy.  L’occhio e l’azione del drone hanno un ruolo da protagonista, come mezzo mediante il quale vediamo ciò che accade. La visione sul territorio di guerra, dunque, ci viene mediata e filtrata, ma i crimini commessi seppur sintetizzati, sono reali e dettagliati. Pur essendo lontani sono estremamente vicini e si denuncia la condotta chiaroscura delle truppe americane che pilotano gli APR, spesso sotto direzione della CIA, in cui si compiono azioni per prevenire ed estirpare il cancro del terrorismo, cogliendo a grappolo e sui grandi numeri, talvolta sommariamente, ed estirpando sin troppo sul nascere la minaccia del terrorismo.

Quello di Thomas Egan è anche e soprattutto un conflitto personale, fatto di nevrosi, psicosi, autodistruzione ed alienazione. Tommy è spettatore della guerra pur agendo in essa, a distanza ed in modo estremamente cospicuo. Quell'interfaccia remota lo esula dalla sua quotidianità, lo mantiene collegato alla guerra e lo riporta in un circolo vizioso di paranoia e senso di colpa. Come se quel videogioco reale a cui si interfaccia vada a creare in lui uno shock post traumatico che di giorno in giorno si fa sempre più fuorviante.

Nel film scritto, prodotto e diretto da Andrew Niccol, da un lato si pongono in modo superficiale e abbozzato quesiti di luogo comune sulla guerra e su quanto possa essere giusta o meno; dall’altro appaiono analitici al punto giusto gli interrogativi  che stimolano lo spettatore sull’utilizzo di una tecnologia, quella dei droni, in una guerra oramai 2.0, che se attuata secondo queste modalità palesa non poche controversie etiche e morali anche fra coloro che ritengono la guerra una soluzione necessaria.

Il racconto cinematografico si lega per molti tratti agli stilemi convenzionali di genere americano, la storia è lineare, certe peculiarità gli rendono anche una certa singolarità: il focus forte sul fenomeno droni, mai trattato così densamente,  la battaglia personale e la liberazione da un conflitto asservito alle contraddizioni della guerra. Ciò che non si percepisce però, è una profondità dialettica, di dialogo e argomentativa. Vi sono elementi interessanti, ma ad essi non viene data una profondità ed un'estensione adeguata. Ci si limita a dare una connotazione basilare al war movie, limitandosi ad enunciare con argomentazione superficiale e rimasticata raffigurazioni trite e ritrite. Si parla di un modo nuovo e diverso di fare la guerra, ma ci si ferma li, allineandosi ad espedienti della diegesi fin troppo stereotipati. Good Kill, dunque, pur avendo caratteri virtuosi da esaltare ed argomentare, nonché buoni potenziali lirici, rimane, invece, in superficie e incompleto, tanto da indicarci un percorso ma non riuscendo mai a convincerci per lasciarci andare a percorrerlo. Poteva essere un grande quadro ma alla fine ne è rimasto un bozzetto.

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