A Tomas Milian. “Monnezza amore mio”: la vita, la più grande palestra per divenire un attore

Tomas Milian. “Monnezza amore mio”: la vita, la più grande palestra per divenire un attore

 

Tomas Milian all’età di 81 anni ci consegna questo volume scritto a quattro mani con Manlio Gomarasca, dove narra gli episodi della sua movimentata vita. Dalle origini piuttosto borghesi de L’Avana, dove vedeva e viveva neanche da troppo lontano il degrado, la povertà e la miseria, fino ai giorni nostri. Figlio di una madre che non gli ha riservato troppo amore, vive un’infanzia difficile, anche per via del suicidio del padre, un ufficiale dell’esercito stanco, arrabbiato e divorato dalla vita misera cubana, contaminata, all’epoca, dalla tirannia e dal colpo di stato del sergente Batista negli anni trenta. Un padre che l’ha lasciato presto ma ciò nonostante ebbe il tempo di trasmettergli la sua rabbia, la ferrea disciplina militare e fu il suo primo vero stimolo alla recitazione.

Poi il mito di James Dean, che risvegliò nel giovane Tomas i primi veri istinti di attore, con cui egli instaura un rapporto “pseudo-spiritico” per mezzo di una corrispondenza con una medium che lo accompagnerà per gran parte della sua carriera. Grazie ad essa, in un periodo in cui ottiene i primi ruoli, avvierà una conversazione esoterica col padre morto e otterrà dei segnali che gli indicheranno e suggeriranno i primi incontri con i pezzi grossi dell’industria cinematografica. Qui la sua carriera prenderà una rampa di lancio, condizionata da strane coincidenze. Non mancheranno molti momenti di flessione, in una vita tra molti alti e altrettanti bassi, fra errori, ingenuità e debolezze, fino al limite massimo del tentato suicidio.

L’ombra del fascismo, i primi lavori ed il fiuto per gli affari che fin da giovane gli permisero di fare la bella vita concedendosi diversi eccessi, tra vizi e belle ragazze. Poi il ritorno alla miseria e il crollo delle illusioni di gloria a causa della sregolatezza e dell’incapacità di autogestirsi. Dunque, la rivoluzione personale e la partenza da L’Avana, prima dell’imminente rivoluzione cubana. Miami e poi subito New York e il sogno dell’Actors Studio. La lingua inglese imparata nella marina militare, in una vita che si riempiva sempre più di scene, che richiedevano interpretazioni e recite reali, creando situazioni e personaggi che divenivano vissuti più che interpretati, come se la vita fosse la principale palestra per affinare la sua più grande passione, la recitazione, per raggiungere l’obiettivo supremo: diventare un attore famoso, amato e riconosciuto dal popolo, dalla gente comune. Il modo di affrontare la vita, per Milian, celava un innato istinto recitativo. Come se fra lui e l’arte recitativa vi fosse un’affinità elettiva. Un attore Tomas Milian che più che interpretare i suoi personaggi, li viveva.

Per Tomas Milian, la vera svolta è stata l’Italia, l’incontro con Gian Carlo Menotti, il vero inizio di una nuova vita. Prima Spoleto, dove ha trovato il successo teatrale, e poi Roma, alla quale dichiara un amore spassionato, dove c’è stato molto cinema ma anche molto vagabondare tra la strada e i palazzi, nei marciapiedi prima e  nei salotti nobili poi, e dulcis in fondo la bisessualità, qui Milian la scopre, la ammette. Tomas più volte nell’arco del racconto non avrà problemi ad evidenziare di essere stato l’amante di diversi uomini. Roma con cui ha stretto un rapporto unico, carnale, magico, che gli ha permesso di realizzarsi concretamente dando vita ad una vasta lista di personaggi che rimarranno nella storia del cinema italiano di genere, su tutti “Er Monnezza” e “Nico er Pirata”.

Gli eccessi e la vita strampalata non hanno mai abbandonato Milian, la sua essenza ribelle prima o poi doveva per forza riaffiorare e diversi episodi raccontati nel libro ne portano testimonianza fra dipendenze varie, le principali alcol e cocaina ed eterni debiti. Nonostante ciò, trovò anche molta autenticità pulita, nel matrimonio con Rita e soprattutto nella paternità, si evince in uno dei passaggi delle confessioni di Milian dal valore e dalla profondità maggiore. Profondità che viene espressa anche nella intensa amicizia con Quinto Gambi, il suo alter ego in vita.

Poi l’epoca western e il desiderio di essere apprezzato dal popolo.  L’obiettivo di essere riconosciuto come un uomo comune e non tanto come una celebrità.

“Monnezza amore mio” è un racconto autobiografico piuttosto lineare cronologicamente, che avanza attraverso i generi con cui lo stesso attore si è cimentato nell’arco della sua carriera: dagli esordi d’autore, passando per il western, fino al poliziesco all’italiana. Dove il trionfo d’Er Monnezza, l’ha reso attore e personaggio di culto oltre a conferirgli la definitiva consacrazione artistica ed economica. Un divenire di storie, episodi a cavallo dei generi, che si sofferma più volte in un ripetuto e intimo dialogo introspettivo, fra Milian e uno dei suoi personaggi culto, Er Monnezza, il suo alter ego per eccellenza, che interviene qua e là durante il racconto, e su cui il lettore avrà la possibilità di imbattersi rilevando più di un divertente batti e ribatti tra l’interprete e il suo personaggio.

Il racconto giunge poi all’incontro con Bertolucci, in una sorta di cerchio che si chiude con il ritorno al cinema d’autore. Poi l’India, un luogo dove scomparire esausto e resettare tutto prima della terza vita della sua carriera, quella che sancisce il ritorno negli States alla disperata rincorsa della parte da sempre sognata nel cinema americano.

Un ritratto nudo e crudo, sulla vita difficile di un bambino de L’Avana con un grande vuoto da colmare, con i suoi sogni e i suoi incubi, ed un sacco di speranza. Un bambino che è divenuto adulto con un po’ di trambusto e non un adulto qualunque ma bensì un’icona del Cinema.

Un libro che racconta una delle più grandi maschere del cinema italiano, un attore genuino al servizio del pubblico e del popolo, che ha risvegliato e saldato nella memoria degli spettatori la passione per un genere e per un tipo di cinema autentico, un cinema che fu, che oggi appare lontano e irripetibile, a cui guardiamo con una certa nostalgia.

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