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8/10

Il Caso Spotlight regia di Tom McCarthy

Drammatico
recensione di Lorenzo Ceotto

Il Caso Spotlight” racconta la storia vera di un team di giornalisti del Boston Globe che riuscì, agli inizi degli anni zero, a scovare una casta di preti pedofili, portando all’evidenza dell’opinione pubblica una miriade di casi di abusi sui minori (centinaia) per mano di decine di rappresentanti della chiesa cattolica nel territorio del Massachusetts. Gli abusi si ripeterono per diverse decadi, questi rappresentanti della chiesa cattolica poterono agire imperterriti nel rovinare la vita centinaia di persone prima di essere scoperti grazie all’indagine dei giornalisti della Spotlight, squadra investigativa del giornale. Un’inchiesta che  valse alla redazione del Boston Globe il Premio Pulitzer di pubblico servizio nel 2003.

La scandalo messo in luce dalla Spotlight destabilizzò totalmente l’opinione pubblica e colpì al cuore la chiesa cattolica scompigliandone equilibri e credibilità a livello mondiale. All’epoca forse ebbe anche meno risalto del dovuto perché sopraffatto dal grande impatto mediatico degli attentati dell’11 settembre. Questo film arriva puntale a riproporre con la giusta evidenza una storia che meritava senza dubbio di essere raccontata, se non altro per compensare il silenzio e la coltre di omertà sotto il quale per anni furono nascosti e insabbiati tali misfatti.

Il film di Tom McCarthy ha il pregio di raccontare il giornalismo e l’inchiesta dall’interno di una redazione, in modalità quasi didattica come probabilmente mai si era visto prima. Ripensando al cinema recente un simile e altrettanto riuscito approccio narrativo sulla verità e l’(I)nformazione, lo abbiamo apprezzato nel bellissimo Good Night, and Good Luck (2005) firmato George Clooney.

La missione dei protagonisti della Spotlight è quella di cercare la verità, questa volta più delle altre volte, andando oltre il clamore dello scoop e della notizia. La dicotomia è tra informazione e disinformazione, dove il vero giornalista etico e combattente persegue a tutti i costi la prima, in una “crociata” volta a distruggere la seconda. Quindi i dossier, le indagini, le interviste alle vittime, le rivelazioni meticolosamente documentate, l’audacia e la determinazione per fare di tutto pur di consultare quegli atti giudiziari che consentirono di dar luce alla verità. Rispondono a questa requisiti professionali i vari Marty Baron, i Ben Bradlee Jr., ed i 4 membri della Spotlight, veri cronisti d’assalto: Walter Robinson, Mike Rezendes, Sacha Pfeiffer e Matt Carroll,  interpretati magistralmente da tutto il cast, in una prestazione corale di livello superiore (Michael Keaton e Mark Ruffalo eccellenti).

Quella de Il Caso Spotlight è una missione di denuncia, dove il dispiegarsi lineare del canovaccio cinematografico avanza di pari passo con la tenace battaglia della redazione del Boston Globe. Una missione oltre la censura e l’omertà dei detentori del potere, contro delle istituzioni corrotte e colluse che troppo spesso rafforzano i propri intrighi occultando il marciume che le rappresenta. La falsità, l’ipocrisia, il nero di quella diocesi incriminata, si fa proiezioni di un lato oscuro che colpisce la chiesa cattolica a livello globale. La Boston che vediamo nel film, con la più grande diocesi del paese, è un luogo che di riflesso esplicita un’aria pesante, un’atmosfera plumbea e contaminata, la fortissima presenza e influenza cattolica nella città (il 53% dei lettori del Boston Globe all’epoca erano cattolici) vengono riproposte allo spettatore seguendo queste accezioni in modo esemplare.

Lo spettatore dunque diventa esso stesso testimone dei fatti, prende parte all’inchiesta, lo sguardo del cinema in questo caso lo rende osservatore dall’approccio oggettivo, oltre la censura, in grado di farsi occhio analitico e giornalistico al fianco di tutti i componenti della redazione. Dinnanzi alle testimonianze delle vittime si percepisce l’aura di un film condito dal reportage con sembianze talvolta da docu-fiction.

Ne “Il Caso Spotlight” c’è un ritmo estremamente incalzante, la sceneggiatura intensa e serrata, in due ore di pellicola, ci offre una quantità densissima di elementi che vanno a caratterizzare e costituire l’indagine, mettendo in primo piano soprattutto quella, senza concedersi troppe divagazioni sul lato privato e la dimensione extralavorativa delle vite dei protagonisti al di fuori della redazione.

Un’opera tributo al giornalismo investigativo che nella sua essenzialità estetica caratterizza un cinema etico, impegnato, oltre il controllo ideologico e morale, ma bensì volto a perseguire e mettere in scena la rincorsa alla giustizia e ad una verità da riportare alla luce.

Il film di McCarthy è un’opera virtuosa anche per il grosso lavoro di ricerca dietro la composizione dell’opera cinematografica, la meticolosità della ricostruzione, l’indagine della storia è anche l’indagine degli autori per riportare al pubblico una rappresentazione più esaustiva e realistica possibile.

Uno scempio che ha visto coinvolte migliaia di giovani vittime, un fenomeno dai risvolti sociali, psicologici e pedagogici disarmanti, anche vedendo il film scoprirete il perché, che racconta il giornalismo fatto in maniera esemplare dove il servizio pubblico dei giornalisti diviene anche arma di rivalsa e liberazione  per le vittime, incarna cooperazione, forza collettiva e stimolo ad avere il coraggio di esplicitare ciò che si ha subito. L’indagine “spiattellata” su tutti i giornali ha permesso alle persone intimorite e per anni chiuse nel proprio dolore, di farsi forza per raccontare i propri segreti, ciò che le annientava dentro, provando a scrollarsi di dosso, per quanto possibile, quel macigno, quel demone, che ha rovinato loro l’esistenza, fornendo una chiave di ascolto ed un senso di responsabilità diffusa.

Questo è il successo del cronista, all’insegna dell’informazione che si tramuta anche in successo cinematografico. In una storia di giornalismo libero, capace di svincolarsi dalle pressioni dei poteri forti. D’altronde, come dirà ad un certo punto del film Marty Baron(Liev Schreiber), capo del giornale e fautore dell’indagine: “… è per casi come questo che facciamo il nostro lavoro”.

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