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R Recensione

7/10

Le Idi di Marzo regia di George Clooney

Drammatico
recensione di Giulia Bramati e Alessio Colangelo

Mike Morris è candidato alle primarie democratiche: per poter vincere, deve necessariamente superare l'avversario alle elezioni in Ohio. Per dimostrare la sua integrità morale, non vuole né scendere a compromessi, promettendo ministeri ad uomini capaci di aiutarlo nella vittoria, né allontanarsi dai suoi ideali. La corsa al potere rende però il team del candidato arrogante e corrotto, persino Morris nasconde un segreto.

Giulia Bramati (voto: 4/5)

Durante le Idi di marzo del 44 a.C. Giulio Cesare venne ucciso per mano del figliastro Bruto, uno degli uomini a lui più fedeli: la possibilità di assumere un ruolo più importante di quanto Cesare potesse offrirgli spinse il ragazzo ad allearsi con Cassio, organizzatore del complotto cesaricida. Idealmente la lealtà è una qualità imprescindibile per chi si occupa di politica; nella realtà invece, fin dai tempi antichi, la corruzione e la brama di potere prendono il sopravvento sugli ideali e l'etica. George Clooney ha lavorato per quattro anni su questo tema e ieri ha portato in scena a Venezia un'opera davvero brillante. Il protagonista del film è il trentenne Stephen (Ryan Goslin), impegnato nella gestione della campagna elettorale di Mike Morris (Clooney), candidato alle primarie dei Democratici. Dapprima il ragazzo si dimostra molto leale nei confronti del candidato e di Paul, il suo superiore (Philip Seymour Hoffman), uomo molto abile nella creazione di strategie. Il team sembra molto affiatato, ma la rivelazione di alcuni segreti porta ben presto Stephen sulla strada della corruzione. Del resto anche Mike Morris non rappresenta quello che ha la presunzione di far credere ai suoi elettori: l'attaccamento che dimostra di avere nei confronti dei suoi ideali si rivela infatti effimero. La giornalista del Times Ida Horowicz (Marisa Tomei) si sorprende nel constatare l'apparente buona condotta del candidato: he's a good guy and he's a politician.

Una delle denunce del film è la necessità della “macchina del fango” per poter sconfiggere il rivale politico: gli addetti stampa si impegnano a scoprire ed eventualmente ideare scandali in grado di smuovere l'opinione pubblica a proprio favore.

Nel corso dell'opera si distinguono le diverse modalità lavorative dell'esperto collaboratore Paul e del giovane Stephen: se per il primo “senza lealtà non sei nessuno”, il secondo non si fa scrupoli nel ricattare e far scendere il candidato Morris a compromessi per raggiungere un posto politico importante. Cinicamente Clooney mostra al suo pubblico il trionfo della corruzione sulla fedeltà, dell'inganno sulla fiducia, della furbizia sulla dedizione.

Non mancano momenti di comicità nella parte iniziale del film, collocati prettamente nei dialoghi civettuoli tra Stephen e Molly (Evan Rachel Wood), stagista per la campagna elettorale che ricopre un ruolo chiave per lo sviluppo della trama; ben presto, però, il sorriso lascia spazio al dramma che si produce nella pellicola.

The Ides of March è il miglior film di Clooney in qualità di regista: coglie l'interesse dello spettatore, senza risultare lento e prolisso; si incentra subito sulla tematica principale, non divagando su altri contesti poco influenti sull'intreccio; propone sequenze dialogiche ben calibrate. Il regista è migliorato anche tecnicamente: se in Confessioni di una mente pericolosa proponeva inquadrature fotografiche interessanti, che causavano però un rallentamento del film, in questo ultimo lungometraggio si concentra sui volti dei personaggi, inserendo numerosi primi piani - talvolta molto stretti – e ponendo sul retro uno sfondo neutro; risultano piacevoli i giochi di luce ed ombra, accompagnati da un particolare uso della messa a fuoco della camera.

Il cast comprende, oltre a Goslin, Clooney, Seymour Hoffman, la Tomei e la Wood, anche Paul Giamatti, nel ruolo dell'addetto stampa del candidato democratico avversario a Mike Morris.

Il quarto film di Clooney sembra dunque voler esprimere il suo pessimismo verso la politica, ormai inscindibile dai giochi di potere celati argutamente.

Alessio Colangelo (voto 3/5)

POLIT(R)ICS

Il nuovo film di George Clooney appare, ad un primo sguardo, una bella rassegna dei principali mali della politica, tuttavia risulta subito evidente che quello che ci sta mostrando Clooney non è la “verità” sulla politica americana, o meglio lo è solo in parte perché  il suo punto di vista personale prevale  lasciando in ombra la complessità  e le sfumature della realpolitik. Già le prime battute ci mostrano una bella contraddizione, infatti  Stephen alla preparazione del comizio di Morris dice: " Credo nella Costituzione degli Stati Uniti d'America", affermazione che evidenzia la sua fiducia  nello Stato e nell’ Autorità e contrapposto a questo il sicut deus di Clooney regista che si  autorappresenta in un personaggio (il governatore  Morris) che non rispecchia le sue idee. La prima parte ha  un tono enfatico e retorico nella costruzione dell’ ethos del candidato, nella seconda il discorso sembra arenarsi un po' troppo sulla solita storia nota: lui, Stephen, giovane rampante comunicatore politico, lei, ventenne stagista carina, disposta a tutto e a "farsi" tutti pur di sopravanzare nella carriera e l'Altro, Morris, senatore con buoni propositi ,ma cattiva condotta. Il punto di vista più realista è quello della giornalista che segnala subito a Stephen il fatto che prima o poi Morris lo deluderà. Ecco così che il giovane naif Stephen, per dirla alla "yoda", passa al Lato Oscuro e capisce che è solo ingannando il prossimo il giusto modo per essere accettato dalla politica. Certo non una trama originalissima costellata da ingenuità e passaggi un po' grossolani sulla figura poco analizzata di Molly, ad esempio, alla quale fa eco nel finale un' altra stagista. Se Stephen ragguaglia Morris di aver infranto la prima regola della politica ovvero "non farsi le stagiste", che lui stesso viola immediatamente, è chiaro che il tema si sposta subito dalla politica " bene comune" alla politica "bene privato".

Seppur lontani dalle cronache italiane del "Bunga Bunga" appare evidente come sesso e politica siano il solito bell' argomento di cui s(parlare). Ulteriore amaro ritratto di una società americana definita sviluppata che trova nei conflitti tribali e primordiali il suo terreno di battaglia. Del resto durante il secondo incontro sessuale tra Stephen e Molly lui  guarda il televisore in cui appare il volto di Morris,  simbolo che l'inganno e la vendetta risiedono più nella pulsione scopica che in quella erotica.  A questo proposito basti estrapolare la frase della giornalista che dice a Stephen: “ Hai mangiato la sua mela avvelenata?” “ Sì, ed era buonissima” per cogliere, da un parte, il capovolgimento di ruoli di genere della fiaba archetipica di Biancaneve o del racconto della Genesi , dall’altra, l’allusione alla pulsione visiva e sensoriale rappresentata dal frutto rosso.

Alla fine l’impressione che si ricava dal film è ossimorica, una solidità fragile della messa in scena  che lascia nello spettatore  l’amaro in bocca per un film  che, nonostante  un cast d’eccellenza,  non ha  saputo darci qualche spunto di riflessione in più. Come dire, film promosso per la regia tecnica di Clooney, ma con riserve sulle argomentazioni. Clooney regista presenta aspetti di valore, come una certa trasparenza nel girare le scene che, in certi punti, si avvicinano al cinema classico, ma  non raggiunge ancora un livello di alta qualità.  Non avendo la capacità autoriale di un Robert Redford o di un Woody Allen, Clooney deve decidere ancora se fare soltanto l'attore o fare solo il regista perché se si cimenta in entrambi il lavoro ne risulta “zoppo”; dovrebbe anche decidere da che parte politica stare perché  deluso da tutti (da Obama compreso) alla fine  rischia di andare a riesumare il detto latino: "In medio Stat virtus”  che evidentemente poteva valere solo ai tempi delle Idi di marzo.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 12 voti.

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alejo90 alle 19:53 del 17 dicembre 2011 ha scritto:

@alessio colangelo: bella recensione dalle indubbie inflessioni canoviane

Peasyfloyd (ha votato 7 questo film) alle 23:21 del 9 febbraio 2012 ha scritto:

non credo sia il miglior film di Clooney e non credo nemmeno che la storia sia in sè banale. Mi sembra invece che la salomonica via di mezzo tra i due giudizi espressi nella recensione sia la strada giusta. Il film è potente a livello di soggetto e sceneggiatura. Altrettanto scorrevole nella narrazione, asciutta e pulita, senza sbavature. Gode di un cast più che notevole, che fa perno sul fenomenale Goslin.

Guardandolo ho pensato però che gli mancasse qualcosa in ognuno di questi campi. In certi punti la regia è un po' troppo statica e piatta. In altri ti aspetteresti delle battute ficcanti che non arrivano. I toni complessivi sono forse eccessivamente ancorati al registro drammatico e cupo. Non lo so, c'è qualcosa che mi impedisce di giudicarlo un capolavoro. Un bel film senz'altro. Ma non un capolavoro.

E di sicuro quel qualcosa non è l'implicita polemica con Obama ed in generale il "leaderismo" della politica americana. Anzi, questo è solo un fattore che mi rende l'opera più simpatica...