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6/10

Passion regia di Brian De Palma

Thriller
recensione di Francesco Ruzzier

Christine possiede la naturale eleganza e la serena disinvoltura di chi è abituato ad avere a che fare con il denaro e il potere. Innocente, bella e facilmente manovrabile, Isabelle, la sua protetta che nutre per lei una profonda ammirazione, è piena di innovative idee all'avanguardia che Christine non si fa scrupoli a rubarle. Christine prova piacere nell'esercitare il proprio controllo sulla giovane Isabelle, trascinandola passo dopo passo in un gioco sempre più intricato di seduzione e manipolazione, dominio e umiliazione.

In ogni sua opera il regista newyorkese Brian De Palma ha sempre dimostrato un incredibile interesse nei confronti del potere delle immagini, mettendolo spesso in discussione attraverso personalissime scelte autoriali. Anche con Passion, remake del thriller francese Pour Elle, ogni invenzione registica sembra essere indirizzata verso questa tematica.

Per prima cosa, però, ciò che De Palma mette in scena è il tema del doppio. Le protagoniste di Passion sono due donne: il capo (Rachel McAdams) che cerca di sottomettere e sfruttare la sua assistente (Noomi Rapace), mentre quest’ultima cerca di sopraffare la propria superiore, nel tentativo di assumerne il posto. Per raggiungere il proprio scopo cercano entrambe di manipolare la realtà per avere la meglio sugli altri. La manipolazione è spesso il fulcro della filmografia depalmiana. Come ha infatti dichiarato il regista stesso, “molti dei miei film hanno a che vedere con la manipolazione, perché io sono in una attività molto manipolativa. E io sono una persona molto manipolativa. Un regista manipola sempre la gente”. Se le protagoniste costruiscono delle false prove utilizzando dei filmati come prova schiacciante della realtà per volgere la situazione a proprio favore, De Palma utilizza le immagini del film per destabilizzare le certezze dello spettatore. Sebbene il mondo diegetico sembri quindi ruotare attorno alla credibilità di questi filmati, lo stile registico depalmiano gioca con lo spettatore, inducendolo a mettere costantemente in dubbio ciò che vede. In questo senso sono due le scelte registiche che vanno in questa direzione: l’utilizzo dello split-screen in una scena fondamentale del film e la possibilità della dimensione onirica della parte conclusiva dell’opera.

Nonostante gran parte delle scelte registiche offrando degli interessanti spunti di riflessione, non si può non sottolineare come gran parte delle scene rientrino nel “già visto”, smorzando quindi ogni possibilità di entusiasmo di fronte ad un’opera che fondamentalmente non aggiunge nulla di nuovo alla carriera depalmiana.

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