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7/10

I, Daniel Blake regia di Ken Loach

Drammatico
recensione di Francesco Ruzzier

Un carpetiere di mezza età richiede la pensione d'invalidità dopo un infortunio sul lavoro, e fa la conoscenza di una giovane madre single in una situaizone simile.

Raccontare oggi una contemporaneità apparentemente non più a misura d'uomo è diventata una delle priorità di un certo di cinema impegnato e un regista come Ken Loach, che con i suoi film dà voce alla classe sociale inglese meno abbiente da più di cinquant'anni, non può certo tirarsi indietro. Il Daniel Blake del titolo è un anziano falegname che a causa di un attacco di cuore non può più lavorare e che sopravvive con un sussidio di disoccupazione, pressato dallo stato che pretende si trovi un nuovo impiego in tempi brevi. Loach si concentra per tutta la prima parte del film a descrivere, attraverso il suo protagonista, quella che è la condizione di tutta un'enorme fetta di popolazione più anziana alle prese con un sistema burocratico che oggi viaggia ad una velocità impensabile per persone non abituate ad essere al passo con la tecnologia. Come spesso accade per i personaggi del regista inglese, anche in questo caso il protagonista del film è ancorato a dei vecchi valori umani che entrano spesso in conflitto con gli automatismi moderni, ma che tornano immediatamente utili nel momento in cui si crea la necessità di tessere delle nuove relazioni: per difendere una madre single e disoccupata, Daniel Blake si intromette in una discussione e ben presto entra a far parte di questo nucleo familiare disagiato, mettendo a disposizione le proprie abilità nei lavori domestici e la propria umanità nei rapporti umani. In questo senso il film funziona davvero a meraviglia e il modo in cui Loach riesce a far ragionare lo spettatore sulla necessità di far tornare ad una dimensione più umana la nostra quotidianità e come solo i rapporti interpersonali più intimi possano salvarci veramente, è convincente e sincero e regala dei momenti di emozione purissima. Purtroppo però il regista britannico non si limita a concentrarsi su un solo argomento e non perde occasione per gettare carne al fuoco nel tentativo di ampliare il discorso, coinvolgendo tematiche sociali più grandi della vita di una persona sola, ma risultando in questo modo spesso e volentieri pacchiano e in un certo senso anche fuori contesto: perché se in una prima parte in un modo o nell'altro sembrava davvero aver centrato il punto della questione, nella seconda sembra invece tirare in ballo le sue tematiche più "classiche", senza rendersi conto che in cinquant'anni il mondo possa anche essere cambiato.

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