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8/10

Cieli Rossi, Bassano In Guerra regia di Manuel Zarpellon | Giorgia Lorenzato

Documentario
recensione di Elena Rimondo

Cosa significò lo scoppio della Prima Guerra Mondiale per l’Italia? Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon, i registi di Cieli rossi – Bassano in guerra, ci riportano in uno dei luoghi cruciali del fronte italiano, la piccola Bassano del Grappa, che da tranquilla cittadina ai piedi delle Prealpi venete si trasformò in zona di guerra, subendo pesanti perdite umane e materiali.

Cieli rossi è un documentario, un genere in via di riscoperta negli ultimi tempi in Italia e all’estero. Se molti documentari stanno ricevendo importanti riconoscimenti è perché, probabilmente, si è capito che spesso bisogna guardare alla realtà senza filtri, senza la mediazione della finzione. Si può così scoprire che la realtà nuda e cruda non ha bisogno di orpelli per essere resa interessante o impressionante. Questo ci è stato dimostrato da Michael Moore con Bowling a Columbine e da Gianfranco Rosi con Sacro GRA, ma quando il soggetto è la guerra più devastante, più logorante e dannosa che si fosse combattuta sul suolo europeo fino ad allora, non c’è dubbio che la cosa migliore è far parlare i fatti. Nel caso del documentario di Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon la Storia parla attraverso Marco Mondini, professore dell’università di Padova esperto della Prima Guerra Mondiale. Si tratta quindi di un resoconto storicamente accurato delle fasi della guerra, a partire dal fatidico avvenimento che funse da casus belli, l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914. Il primo capitolo in cui è diviso il documentario illustra i protagonisti della Grande Guerra, ovvero teste coronate e ministri di mezza Europa, ma ben presto la visione cambia: dall’universale, dalla prospettiva europea, si passa al particolare, e il focus diventa Bassano Veneto (fu nel 1928 che il nome della città fu cambiato in “Bassano del Grappa” per volontà del governo fascista), col risultato che il conflitto e le sue conseguenza vengono rievocati in tutta la loro drammaticità. Ad un secolo di distanza, due sono gli ostacoli che rischiano di offuscare la nostra memoria, ovvero la distanza temporale e quella geografica. La guerra tra Italia e Impero Austroungarico si combatté in montagna, su luoghi impervi e in condizioni proibitive, tra fango, neve e gelo. Sono luoghi i cui nomi sono diventati leggendari – l’Ortigara, il Pasubio, il Grappa – ma dietro ai simboli e ai miti si nascondono uomini in carne ed ossa le cui sofferenze quotidiane in trincea hanno ben poco di mitico. È questo il pregio maggiore del documentario, cioè l’insistenza sulla discrepanza tra l’idea che l’Italia voleva dare di sé – quella di un Paese moderno, bellicoso e forte – e l’immagine dell’Italia com’era veramente. Il tutto visto tramite la progressiva discesa agli inferi subita da Bassano Veneto dal 1914 al 1918, con il fronte che si avvicinava sempre più alla città, la quale venne bombardata nel dicembre 1917. A testimonianza di avvenimenti solo apparentemente meno importanti dell’uccisione di Francesco Ferdinando o della disfatta di Caporetto, restano foto d’epoca che ritraggono file di soldati sofferenti e male equipaggiati, case sforacchiate dalle bombe e trincee devastate dalle granate. È proprio attraverso il massiccio ricorso a materiali d’archivio (filmati e, soprattutto, foto) che il documentario tenta di colmare le distanze tra noi, che la Grande Guerra l’abbiamo solo sentita raccontare o l’abbiamo vista al cinema, e i luoghi dove lo scontro è stato più violento. Le fotografie, provenienti perlopiù dall’archivio storico di Bassano del Grappa e dalla Fondazione Museo Storico del Trentino, sono spesso accompagnate da frammenti di diari e lettere di persone che hanno vissuto in prima persona la guerra a Bassano. Tra questi ci furono anche Ernest Hemingway e John Dos Passos, che si erano arruolati nell’American Red Cross. Ma alle foto e ai filmati in bianco e nero si alternano moderne riprese di Bassano e del Monte Grappa effettuate coi droni, immagini che esaltano la bellezza di quei luoghi che cent’anni fa furono gli involontari testimoni di un’inutile carneficina.

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