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R Recensione

7/10

La Scuola E Finita regia di Valerio Jalongo

Drammatico
recensione di Matteo Triola

Mi­surare il distacco dagli altri, la disillusione. Provare il brivido di la­sciarsi cadere nel vuoto. Soprattutto se sei un adolescente trascurato da genitori immaturi o distanti, non solo geograficamente. Il terrazzone dell'istitu­to Pestalozzi diventa così per Alex Donadei - piercing tra le sopracciglia, fel­pa con cappuccio e pasticche colorate sempre in tasca - luogo del silenzio, della solitudine e delle speranze.

Siamo a Roma, Istituto Pestalozzi (chiamato così in onore dell'omonimo pedagogo); una scuola pubblica come tante, dove alunni e professori condividono la stessa noia e lo stesso sfinimento giorno dopo giorno. Alex Donadei (Fulvio Forti), un ragazzo disadattato e ribelle con una situazione familiare disastrata alle spalle, si fa carico di alleggerire la noia dei compagni distribuendo a pagamento pasticche colorate (MdMa). Daria Quarenghi (Valeria Golino), la prof. di scienze, grazie al suo Centro d'ascolto si impegna in prima persona, provando con forza a salvare il ragazzo dalla bocciatura, con l'aiuto del professor Talarico (Vincenzo Amato), che tenta in ogni modo di far nascere in lui la passione per la musica. Non esattamente due insegnanti modello, per giunta marito e moglie, i due si ritroveranno a mischiare la loro vita sentimentale con quella del ragazzo, tra delusioni e conflitti, in una stupida quanto nociva competizione per catturare la sua attenzione, tanto da uscire dai binari della normalità.

Si presenta così La Scuola è Finita, primo film italiano in Concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2010, e diretto da Valerio Jalongo - che nella vita è anch'egli docente - alternando pregi e difetti, mostrandosi come un film indubbiamente  attuale, impegnato e interessante, ma concettualmente imperfetto. Diviso in capitoli (scelta almeno discutibile, che deriverà senz'altro dall'impronta marcata di uno degli sceneggiatori, Daniele Luchetti), perennemente musicato e diretto con una freschezza e una vitalità che conquista, perché inattesa, il film riesce comunque a non convincere del tutto per via di una trama eccessivamente densa, che esagera nel mettere troppa carne al fuoco, descrivendo storie e costruendo personaggi forzatamente al di sopra delle righe (vedi il personaggio del professor Talarico...va bene essere "rock", ma così è troppo!).

La scuola portata in sala da Jalongo è uno dei tanti istituti che popolano le periferie romane: fatiscente, con porte sfasciate, muri imbrattati, studenti che spacciano. Se Valeria Golino e il giovanissimo Fulvio Forti convincono nei loro ruoli rispettivamente di professoressa amareggiata dalla vita professionale e affettiva e di un ragazzo disadattato e disilluso, alla ricerca di un padre che non c'è mai stato, Vincenzo Amato arranca dinanzi ad un professore ‘esagerato', che occupa insieme ai suoi alunni, suona la chitarra elettrica in classe e arriva addirittura a sniffare MDMA con un suo studente. Forzatamente attuale - esattamente come il finale di "La nostra vita" di Luchetti, ahimé - il finale prova a dare mazzate anche al mondo dei media di oggi, pronti a criminalizzare chiunque pur di cavalcare la notizia del momento e di fare audience, finendo così per diventare ancora meno credibile.

Eppure, una nota meritoria - è proprio il caso di dirlo - va assegnata al regista per l'uso della musica, motore portante che scandisce ogni nuovo quadro del racconto. Nata dalla collaborazione con il leader delle Vibrazioni, Francesco Sàrcina, la musica che accompagna il film diventa così uno strumento di creatività, di sfogo e di condivisione per i ragazzi, contro la rigidezza e la fredda insensibilità del sistema burocratico scolastico, aiutando il professor Talarico nell'intento di motivare Alex e di non lasciarlo in balia di sé stesso.

Una scuola che cade a pezzi, metafora sublime di un'istruzione sempre più attaccata dagli ultimi Governi, colpevoli di tagliare anno dopo anno fondi su fondi, ammazzando così indirettamente il futuro dell'intero paese e dei ragazzi, ora malamente educati a suon di social network e di video-games.

 All'interno del contesto di proteste per i tagli alla Cultura in Italia da parte del Governo Berlusconi, così l'autore: 

"No, il mio non è un film di denuncia sociale", taglia corto Jalongo, che pure è uno dei Centoauto­ri. "Ma è un film rivolto ai ragaz­zi che incontro nella mia pro­fes­sione di insegnante e che tro­vo sempre più irraggiungibili". Cosa che a quanto pare non sembrano capire né apprezzare i soliti 4 rospi gonfi della critica cinematografica nostrana.

 

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