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R Recensione

9/10

Import Export regia di Ulrich Seidl

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

La giovane infermiera ucraina Olga decide di partire per l'Austria in cerca di una sistemazione migliore. Il giovane austriaco Pauli segue il patrigno all'est dell'Europa per impiantarvi macchine da gioco. Due storie con un filo conduttore comune di scambio tra culture e nazioni...

  Penetrare la società mostrandocela nella sua realtà, è questo l’obiettivo del regista austriaco Ulrich Seidl, che con questa pellicola affronta gli scambi commerciali e i movimenti di persone tra est ed ovest Europa, in particolare tra la sua Austria e l’Ucraina. Un montaggio parallelo ci permette di seguire contemporaneamente le vicende dei due protagonisti: la giovane infermiera ucraina Olga e il giovane austriaco Pauli alla ricerca di un lavoro. I destini di queste due persone hanno dei percorsi incrociati.

Olga, infatti decide di trasferirsi in Austria per poter trovare una vita migliore e un lavoro ben pagato. Pauli invece, rimasto senza lavoro, si lascia trasportare dal patrigno in un’avventura commerciale nei paesi dell’ex-blocco sovietico, esportandovi video-game e macchine da gioco. I due flussi migratori, Import ed Export, delineano i percorsi e le vicende di questi due personaggi.

In entrambi i casi si mantiene nel regista la volontà di cogliere la realtà senza veli, senza  forzature, nella sua crudezza e anche nella povertà e nelle difficoltà di una vita che, soprattutto all’est, stenta ad essere tale, stretta nella morsa dei bisogni economici e delle ristrettezze finanziarie. Ma la povertà é causa anche di distorsioni. La gente è pronta a tutto pur di poter migliorare il proprio tenore di vita: a darsi al primo sconosciuto dell’ovest, prestandosi ad ogni suo capriccio o lusinga o a vendere il proprio corpo on-line, attraverso il sesso via web.

D’altro canto l’ovest ha i suoi problemi, in primis la mancanza di felicità pur nel benessere e il rischio della solitudine e dell’abbandono, come quello che vivono gli anziani della casa di riposo nella quale Olga lavorerà una volta giunta a Vienna. Il benessere materiale non sempre equivale alla pienezza spirituale e così questo scambio tra est ed ovest rivela che ovunque l’umanità soffre pur per motivi diversi, ma in qualche modo non così distanti.

Ci colpisce l’afflato morale, la tensione che emerge dalla pellicola nel guardare in faccia il mondo, non fermandosi alla superficie, ma raccontandone lo spirito tramite le immagini ed enucleando problemi e dolori che colpiscono l’uomo al di là della sua origine e del suo stato sociale. Una tensione che il direttore della fotografia , l’americano Ed Lachman, ritrova in Seidl come in un grande regista dell’est, Kieslowski, pur con stili narrativi diversi. Ad accomunare i due registi vi è la formazione sul campo tramite il documentario, come mezzo di espressione primario ed originario.

Una formazione ed un interesse che ben emerge in questa pellicola di Seidl, che si affida ad attori non professionisti e lascia ampio spazio all’improvvisazione e quindi a pochi dialoghi, che nascono dalle situazioni senza forzature. La vena artistica si ritrova nelle inquadrature del regista della fotografia americano,Ed Lachman, già curatore della fotografia per molti film indipendenti, il quale costruisce un film fatto di inquadrature che mettono costantemente al centro della scena i protagonisti, quasi a focalizzare tutta l’attenzione su di essi, come in opere pittoriche. Molto spesso si tratta di ambienti chiusi, di singole stanze, come quella in cui Paul si allena, o quella in cui Olga presta il suo corpo allo sguardo elettronico, stanze in cui i protagonisti si mettono in gioco per superare i propri problemi e ricercare qualcosa oltre sé stessi, oltre i limiti angusti della propria esistenza.

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