Non desiderare la donna d'altri regia di Susanne Bier
DrammaticoMichael e Jannik, due fratelli, diversi per vissuto e temperamento, uniti dalla famiglia. La guerra in Afghanistan metterà a dura prova i loro rapporti, cambiando gli equilibri familiari
Susanne Bier, oscar come miglior film straniero con il suo In un mondo migliore ha raggiunto la notorietà internazionale anche grazie al precedente Non desiderare la donna d’altri, che ha vinto il premio del pubblico al Sundance Festival e ha goduto di un remake americano (Brothers, che conserva il titolo originale danese). La storia è molto attuale: due fratelli, uno dei quali è un maggiore dell’esercito danese, in partenza per l’Afghanistan, l’altro un poco di buono, che vive di espedienti ed è appena uscito di prigione dove ha scontato qualche anno per la rapina in una banca. Ma se, apparentemente, il primo, Michael, risulta essere un buon padre di famiglia, amorevole e premuroso verso la moglie e i figli, mentre il secondo, Jannik, sembra essere un irresponsabile, l’esperienza in Afghanistan spariglierà le carte in tavola, mostrando la vera essenza dei due: la dolcezza e il senso della famiglia di Jannik, di contro alla violenza e la brutalità cui si lascia andare Michael, prima in Afghanistan, dove uccide un suo commilitone per avere salva la vita e, poi, in Danimarca, dove la gelosia per il fratello, lo porta a commettere atti inconsulti che richiederanno l’intervento della polizia e la sua detenzione in un centro di recupero psichiatrico. Ad emergere è il rapporto tra la moglie di Michael e Michael stesso. Nonostante la distanza e la dichiarata morte di quest’ultimo, Sarah non cede alla tentazione di tradire il marito con il fratello; in lei alberga ancora la speranza di rivedere il marito, di riabbracciarlo e di rinnovare il legame con lui e questa speranza non viene meno nemmeno dopo l’episodio di violenza familiare.
La regista riesce a comunicare un forte senso della famiglia, che emerge anche grazie alla recitazione degli attori, su cui troneggia il pluripremiato Ulrich Thomsen, ma anche non sfigura Connie Nielsen, ai più nota per i suoi trascorsi oltre oceano (Il gladiatore, One hour photo, L’avvocato del diavolo) e alla sua prima esperienza nel cinema danese. Entrambi gli attori sono stati premiati con il premio per il miglio attore al Festival di San Sebastian. Colpisce la riservatezza del dolore di questa famiglia, mai sopra le righe, conformandosi così forse ad un sentire nordico, che si differenzia dalla passione latina.
Visivamente si nota l’uso insistito dei primissimi piani e l’uso di inserti naturali, quasi a creare uno spazio di sospensione tra i vari capitoli. Questa modalità viene ripresa nel più recente In un mondo migliore. Voluto è poi un uso dell’illuminazione in alcune sequenze, che lascia in ombra gli angoli , illuminando solo il centro dell’immagine, quasi a ricreare un mirino o un obiettivo, ad indicare la distanza del punto di vista che osserva lo svolgersi degli eventi. Una pellicola equilibrata, senza sbavature, che forse per questo equilibrio, rischia di essere poco verosimile nonostante la contemporaneità della storia.
Il remake americano non migliora rispetto all’originale danese, ripercorrendone passo passo le vicende, senza peccare di originalità. Emerge da entrambi, soprattutto dal film della Bier, una velata polemica contro l'uso della violenza e contro la guerra, un tema caro alla regista danese.
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