R Recensione

9/10

Redemption regia di Miguel Gomes

Documentario
recensione di Alice Grisa

21 gennaio 1975, Portogallo del Nord: un bambino scrive ai genitori in Angola per raccontare la triste condizione del Paese in cui si trova. 13 luglio del 2011, Milano: un anziano rimpiange con nostalgia il suo primo amore. 6 maggio 2012, Parigi: un padre confessa alla figlia piccola di essere un inetto. 3 settembre 1977, Lipsia: una ricercatrice universitaria il giorno del suo matrimonio non riesce a togliersi dalla testa una melodia di Wagner.

Folgorante e geniale, con un finale più che a sorpresa, il corto di Gomes è un Paese delle Meraviglie senza Brucaliffo e Cappellaio, ma fatto di gente paradossalmente comune. Completamente privo di realtà  assolute, il breve film è un gioiello dove la sospensione dell'incredulità  è affidata solo ed esclusivamente al racconto. Come lo scrivere era l'unico modo per compiere l'espiazione di Briony nel romanzo di McEwan, per i quattro europei di Redemption è il parlare (l'outing, lo svelamento, la confessione) a portare al Riscatto alluso dal titolo. La realtà  della finzione e la finzione della realtà  sfiorano il concetto di metacinematografico (ormai inflazionato per le troppe applicazioni non sempre appropriatissime) e tracciano un ritratto cross-temporale e struggente dell'Europa, insistendo sul suo innato sentimentalismo e tagliando trasversalmente il confine tra pubblico e privato. Stupefacente è la realizzazione tecnico-artistica di questa mezzora sognante: materiali d'archivio (hanno collaborato anche l'Istituto Luce di Cinecittà  e FuoriOrario) compongono scene storiche che si prestano come tableaux d'innesto per i percorsi di una sfrenata immaginazione.

I diversi registri stilistici, paralleli agli altrettanti racconti, segmentano le diverse storie: poetico il volo di due bambini su una scopa nel cielo di una Milano polverosa in bianco e nero (nell'episodio dell'italiano anziano che rimpiange il suo primo amore, e non si parla di un italiano a caso); crepuscolare e impastato di colori freddi il nostalgico momento francese; lirico e pieno di tenerezza quello tedesco, in cui la grafica di tinte e simboli invade l'inquadratura come quando i pensieri spontanei scivolano in tutti gli angoli della mente. Gomes inventa tutto e ne parla come della sua grande "menzogna" (sono contenuti di fantasia, ci tiene a precisare), ma in realtà  fa molto di più: fa scendere i re dal trono e li fa vedere per quello che sono, come nei filmini super8 delle vacanze, così veri e imperfetti. Resta un quesito: gli errori del presente possono essere davvero redenti in modo retroattivo da un giorno di delicata sincerità  nel passato o dall'ammissione di un momento di debolezza? E il narrare può grattare la superficie corrotta fino ad arrivare a una catartica fiamma di virtus? Le chiavi di lettura di quest'opera sono infinite, come le sfaccettature del regista di Tabù: Gomes ha una formazione da critico cinematografico, crede nel cinema visivo e allo stesso tempo raccontato, e ha un'ironia onnipresente dietro la macchina da presa e non solo. Conosce la tradizione ma sperimenta, aprendo le porte a nuove frontiere grazie soprattutto alla commistione dei linguaggi. E con il suo corto lancia un messaggio di ottimismo e autentica speranza.

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