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7/10

Il diavolo probabilmente... regia di Robert Bresson

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

Il giovane Charles vive a Parigi nella libertà dei costumi portata dal '68. Una vita votata all'edonismo, al piacere dei sensi, lo porta ad amare contemporaneamente due donne. Il vuoto esistenziale lo attanaglia e lo porta a meditare il suicidio come soluzione per affermare la propria indipendenza dai vincoli imposti dalla società.

Tra le ultime opere di Robert Bresson, girata sul finire degli anni ’70, influenzati dal maggio parigino del ’68, Il diavolo probabilmente cerca di mettere in luce alcuni aspetti di questa protesta, ma il tono usato dal regista francese è molto sentenziario. Le battute pronunciate dagli attori assomigliano più alle battute di un dramma, categoriche nel modo in cui sono pronunciate, e non lasciano spazio ad un vero e proprio dialogo tra le parti (vedi quanto fa notare Pino Farinotti a proposito, il quale parla di reinterpretazione personale del regista dei temi della contestazione giovanile).

Il film racconta le vicende di Charles, giovane esponente della contestazione, il quale ha lasciato gli studi dopo il liceo e vive la vita alla giornata, in modo edonistico, passando da un amore all’altro, indeciso su chi sia la donna della sua vita tra Alberte, che ha lasciato la famiglia per vivere con lui e Edwige, da cui è fortemente attratto. Il rifiuto dei valori tradizionali, non significa per Charles una pace interiore e un appiattirsi sui valori politici della contestazione. C’è in lui un travaglio interiore, una critica della massificazione dell’individuo che è tale sia nella contestazione che nella società tradizionale. Charles vuole essere persona originale e arriva a vivere un’esperienza che è simile a quella di Kirillov ne I demoni, ovvero porta all’estremo questa sua indipendenza sfidando la morte nel suicidio per affermare sé stesso, fuori dagli schemi precostituiti. Vi è in alcune scene una riflessione sulla vita e sul suo senso (in particolare in alcune affermazioni dell’amico di Charles e giornalista Michel), che richiama il pensiero esistenzialista e in particolare il Sisifo e l’uomo in rivolta camusiani.

Il film è  una denuncia della società contemporanea e delle sue storture, non da ultimo ecologiche. Immagini forti che inframmezzano le vicende narrate, mostrano disastri naturali causati dall’uomo e fanno riflettere sul modo in cui l’uomo opera nei confronti della natura, degli animali e dell’ambiente naturale con l’inquinamento dei fiumi e dei mari, dimentico della salvaguardia dell’equilibrio ambientale. Oltre a questo fenomeno, trasversalmente, Bresson mostra la piaga della droga che in quegli anni ebbe una diffusione capillare tra i giovani. Il titolo del film prende spunto da queste storture e da questi conflitti, mettendo in luce come alla base vi sia un’evoluzione negativa della società umana, guidata probabilmente dal diavolo.

Bresson si fa latore in alcune scene (ad esempio quella del confronto tra cattolici e protestanti in una chiesa parigina) di un messaggio ecumenico a livello religioso, che rischia però pericolosamente di dimenticare l’identità del Cristianesimo, rischiando il sincretismo e lo snaturamento delle origini. Rimane il messaggio dell’amore reciproco e della carità, sintetizzabile nella regola aurea, che tuttavia potrebbe essere interpretata in modo deviante dalla verità del messaggio evangelico, in senso edonistico. Dal punto di vista stilistico emerge una forte solidità dell’impianto registico, dove poco o nulla è lasciato al caso. La narrazione procede linearmente, non per ellissi o salti, in modo molto lento, accompagnando i personaggi principali nella loro crescita e nei loro dubbi esistenziali.

Il regista è incredibilmente capace di parlare per immagini, facendo da queste emergere la storia e il vissuto dei protagonisti. Bresson si affida ad attori emergenti, che nella maggior parte dei casi ebbero questa sola esperienza cinematografica; puntando come sempre su degli sconosciuti per dare maggiore veridicità a quanto narrato.

Un film che affronta temi importanti, ma che soffre della personalità del regista e di una certa rigidità recitativa, che influisce negativamente sulla veridicità di quanto narrato. Il film vinse l’Orso d’argento al Festival di Berlino del 1977.

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