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7/10

Lo Zio Boonmee Che Si Ricorda Le Vite Precedenti regia di Apichatpong Weerasethakul

Drammatico
recensione di Matteo Triola

Titolo originale "Loong Boonmee Raleuk Chaat", "Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti" racconta la storia di un uomo di circa sessant’anni, gravemente malato di insufficienza renale, che decide di trascorrere i suoi ultimi giorni in campagna insieme ai suoi cari. Immerso in una cornice bucolica di prim'ordine - marcata rigorosamente "made in Thailand" - questo placido ometto (interpretato da Thanapat Saisaymar) troverà ad accudirlo sua cognata Jen (Jenjira Pongpas, che ricordiamo in "Syndromes and a Century") e suo nipote Tong (Sakda Kaewbuadee, in "Syndromes and a Century" e "Tropical Malady", "Deep in the Jungle","The state of the world"), oltre ad un valente giovane infermiere. Riflettendo sulle ragioni della malattia che l'ha colpito, fino a indulgere sul suo passato da partigiano contro il regime, Boonmee entrerà in contatto con le sue vite precedenti...

Liberamente ispirato al libro del monaco buddhista Phra Sripariyattiweti, che parla appunto di un uomo che viene chiamato Boonmee e che ha la facoltà di ricordare le sue vite precedenti, il film di Apichatpong Weerasethakul (Mysterious object at Noon, Blissfully YoursTropical Malady , Syndromes and a Century) si inserisce idealmente nel più ampio progetto multimediale che il cineasta porta avanti: il Primitive project, di cui fanno parte anche installazioni , cortometraggi e pubblicazioni. Tale progetto intende scavare nel passato e nel presente (sia storico che spirituale) di un piccolo territorio a Nord della Thailandia chiamato Nabua, reinventandone la configurazione attraverso l’arte. Il film - lo ricordiamo -  ha vinto la Palma d’oro al 63° Festival di Cannes, con una giuria presieduta dal visionario Tim Burton.

Nulla da eccepire, un film sperimentale come tanti, che parla delle miserie degli uomini e dei loro sentimenti, di contrasti culturali, di malattia, delle ristrettezze di una provincia povera del mondo, e che marca stretto i protagonisti nei loro gesti quotidiani. Boonmee è un piccolo possidente che cura gli interessi della sua campagna nei suoi ultimi giorni, tra alberi di tamarindo e api, braccianti immigrati irregolarmente nel paese e sedute di dialisi. Ma non passa molto che lo scenario cambia, radicalmente, e quello che potevamo definire come "realismo" si trasforma in teatro di inattese apparizioni soprannaturali. Eccoci trasportati davanti agli occhi - dalla fervida immaginazione del regista - i fantasmi appartenenti alla vita personale dello Zio Boonmee: sua moglie Huay (Natthakarn Aphaiwonk) e suo figlio Boonsong (Geerasak Kulhong), entrambi deceduti diversi anni prima. Curioso particolare: Boonsong è, come dire, "leggermente cambiato" dall'ultima volta, tanto da apparire al genitore sotto le sembianze di un uomo-scimmia pelosissimo, con gli occhi rossi - una sorta di spirito della foresta, ci viene detto più avanti. (Influenze dei vecchi horror del cinema thailandese).

Tutto viene filtrato  dall'occhio del regista, in un'atmosfera obiettivamente glaciale: la reazione dei personaggi presenti al momento dell'apparizione degli spiriti viene assimilata dal regista, ottenendo un risultato decisamente inverosimile (ad esser buoni).

La memoria e il ricordo sono senz'altro due parole chiave per provare a leggere questo film; a questi elementi si aggiungono immagini particolarmente efficaci quanto surreali, come l'incontro "carnale" tra una principessa che rimpiange la sua giovinezza con un misterioso pesce gatto parlante. Non ci è dato sapere quali delle forme mostrate siano in realtà le reincarnazioni passate dell'anima di Boonmee. Sotto questo aspetto lo spettatore è libero di interpretare come meglio crede. Il film si chiude con Boonmee che deciderà di iniziare il suo ultimo viaggio attraverso la foresta: viaggio fisico quanto metaforico, che lo condurrà dentro una antica caverna (forse il luogo della sua prima nascita, in una delle sue vite precedenti), luogo-nonluogo primigenio e simbolicamente ricco di rimandi (caverna-utero materno-nascita).

Nonostante questi tentativi di voler far coesistere il quotidiano con il soprannaturale e di voler far riflettere lo spettatore sul tema della memoria, e sul sottile rapporto che si instaura tra uomo-natura - ricorrendo anche ad ibridi - senza rinunciare per questo all'elemento biografico, il film di Weerasethakul rimane un lento (a volte lentissimo!) scorrere di immagini piatte, che difficilmente è destinato a rimanere impresso nella memoria del grande pubblico. (Decisamente un boccone difficile da mandar giù).

Perfino chi si è lanciato a spada tratta nella difesa di questo acclamato cineasta e artista visivo (critici e criticoni del cinema d'autore indipendente), decantandone il valore della sfida affrontata nel trasporre sullo schermo con semplicità temi difficili quali la vita, la morte, le credenze culturali, la malattia e la memoria, dovrà fare i conti con delle  disattenzioni tecniche e stilistiche che mal si addicono ad un grande cineasta. Non sempre la parola "indipendente" giustifica il risultato.

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