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R Recensione

5/10

Il ladrone regia di Pasquale Festa Campanile

Commedia
recensione di Fabio Secchi Frau

Caleb, ladrone galileo del primo secolo d.C., vive di furti e truffe fingendosi mago. Tornato in Galilea, assiste ai miracoli di Gesù di Nazaret, interpretandoli come trucchi. Nel frattempo, diviene prima amante della moglie del governatore romano e poi si innamora della bella prostituta Deborah.

  Per il ladruncolo e imbroglione Caleb (Enrico Montesano), Gesù (Claudio Cassinelli) è uno dei più grandi e disonesti raggiratori che ci sono in giro e, per questo, lo invidia. Ma lui, dopo un primo incontro a Cana con colui che diventerà “il Messia”, continua pure con la sua vita da farabutto, seppur continuando a essere testimone casuale di alcuni dei suoi miracoli più noti, e alternando le sue disavventure a belle avventure sessuali con l’ex prostituta Deborah e la patrizia romana Appula. Almeno fino a quando non scoprirà che il suo destino e la sua morte sono, invece, legatissime al Cristo.

  Il regista è Pasquale Festa Campanile (Il ritorno di Casanova, Il corpo della ragassa) che è anche autore del romanzo da cui è tratta la pellicola non del tutto riuscita, ma comunque godibilissima.

Senza mai scendere nella profondità del messaggio e ben attento a sfruttare al massimo i cliché della commedia, Il ladrone si mantiene su un registro leggerissimo, adatto al grande pubblico italiano che lo snobbò al cinema, ma che, invece, acquistò in massa la copia del film in VHS.

Le pecche ci sono e sono tante: dialoghi ripetitivi; situazioni comiche banali; il protagonista che fa sempre il solito furbetto romanaccio che finisce inguaiato nei suoi stessi casini; e molte altre.

  A tal proposito, è bene sottolineare che il titolo pesa sulle spalle di un Montesano all’apice del successo e, che per questa sua performance, vinse un David di Donatello speciale. Evidentemente, alla Giuria dell’Accademia del Cinema Italiano degli Anni Ottanta gustava quel ritratto da volpone burino al centro di una farsa picaresca storico-religiosa, ma anche quelle in Qua la mano e Aragosta a colazione. Ma fanno il loro dovere anche i corpi spesso nudi di Edwige Fenech nei panni della prostituta e della francese Bernadette Lafont in quelli della matrona romana che rappresentano l’aspetto più estetico del film.

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GIFO alle 23:46 del 13 dicembre 2018 ha scritto:

Nonostante alcune ingenuità nelle scelte rappresentative, il testo introduce a ciò che può definirsi l esperienza religiosa, seppure nella forma di un apocrifo della modernità. Ciò grazie anche alla colonna sonora di Morricone, il cui leit-motiv ispirato all' Andante del concerto BWV 1043 di Bach, con un tema ad imitazione in progressione ascendente, sottolinea la vicenda del protagonista, trascinato complice in una vicenda più grande di lui. La doppiezza, la sensualità, il bisogno di amore, appaiono trasfigurati, e chi li porta infine sulle spalle nella forma di una croce indesiderata, è un uomo degno di questo nome. Se confrontata con film più impegnati, la sequenza della resuscitazione di Lazzaro può apparire infantile: tuttavia la filmografia raramente è riuscita a restituire l'inimmaginabile ritorno dal regno dei morti con la semplicità di un abbraccio, che riporta lo scomparso nella comunità dei viventi come un viaggiatore smarrito. Un cammeo. (G Fontana).