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8/10

Fuocoammare regia di Gianfranco Rosi

Documentario
recensione di Enrico Cehovin

Documentario ambientato a Lampedusa che racconta parallelamente l'arrivo dei migranti dell'Africa e la vita di una famiglia di pescatori locale.

Lampedusa è l'isola siciliana che dista 120 km dalla Sicilia e soltanto 70 dalla costa africana, punto d'approdo, meta di buona parte dei migranti che decidono di fuggire dall'Africa via mare, ovvero il principale punto di sbarco per tutti quegli emigrati che cercano salvezza e nuova vita in Italia. Ma cos'è veramente Lampedusa? È davvero la realtà che la stampa e la televisione ci presentano?

Gianfranco Rosi si immerge nella popolazione per mostrarci un punto di vista diverso da quello a cui siamo abituati rivelandoci che non si vive in un clima di terrore all'insegna della paura del prossimo sbarco, e lo fa, principalmente, attraverso Samuele, un bambino di 12 anni che diventa, davanti alla macchina da presa, un vero e proprio portavoce dell'isola. Figlio di pescatori, nipote di pescatori, Samuele è anch'egli destinato a seguire lo stesso destino, a lottare col mal di mare e imparare a vivere della pesca, a mangiare pasta con i calamari. A Lampedusa Samuele gioca, a Lampedusa samuele va a scuola, a Lampedusa Samuele impara a remare, a Lampedusa, per tutta la durata del documentario, non ha incontri con immigrati. Perché quei barconi che trasportano più cadaveri che esseri viventi ci sono, ed è, prima delle immagini, un medico a raccontarcelo da solo nel suo studio in una delle scene più toccanti del film, un medico che non ne può più di praticare autopsie e che, spinto da un senso insopprimibile di umana solidarietà, continua ad aiutare i disgraziati migranti e anche lui, come Samuele, è un portavoce dell'isola, uno dei tanti isolani che si prodigano per aiutare il prossimo, lasciati a sbrigliarsi da soli il problema, a gestire gli arrivi senza aiuti da parte della nazione. E quel medico è lo stesso che aiuta la vita a nascere e lo vediamo mentre sottopone una paziente rifugiata a un'ecografia, quella di due gemelli, ed è anche lo stesso medico che cura Samuele, indicando che a Lampedusa sono in pochi e, come in tutte le realtà paesane, tutti si conoscono e l'immigrazione è qualcosa di contemporaneamente vicino e lontano alla comunità e la sfiora, lasciandola allo stesso tempo intaccata e immutata.

Giunto al suo quinto documentario Gianfranco Rosi presenta in concorso alla 66a Berlinale Fuocoammare, tassello successivo di una carriera in continua evoluzione nel percorso del documentarista italiano. L'immersione nell'ambiente è sempre più naturale per il regista, qui molto simile al precedente Sacro GRA (Leone d'Oro nel 2013), dove Rosi non intervista i suoi soggetti, si limita a riprenderli nel loro agire e muoversi quotidiano, non imponendo la sua figura e lasciando che la vita scorra davanti alla sua camera come se lui non ci fosse. E lo stesso vale per i pochi momenti in cui il medico parla direttamente con il regista, facendo effettivamente sentire la presenza di quest'ultimo, ma il tutto avviene non nella forma di un'intervista ma come di un dialogo del soggetto con se stesso ma davanti alla camera come succedeva già in Below Sea Level e, ancor di più, in El sicario - Room164

Samuele ogni tanto fatica a respirare, ed è convinto che sia dovuto a qualche forma di allergia, ed è compito del medico informarlo che è affaticato solo perché soffre d'ansia. Samuele non ci vede bene ed è compito del medico correggere il suo occhio pigro, costringerlo a sforzarsi di allenare quell'occhio, di migliorare la vista. Samuele siamo noi, che ci sentiamo affaticati da una realtà lontana, distorta, che ci fa affannare e che non vediamo per quella che è, perché non ci sforziamo di vederla, e Gianfranco Rosi è il nostro medico. È proprio questa la grandezza di Rosi e del suo documentario, la sua non presenza nell'ambiente, senza prediche, senza retorica, lontano dai patetismi. E la cura che ci viene suggerita altro non è che un diverso punto di vista sulla questione, un punto di vista che Rosi ci lascia evincere dalla sincerità delle sue immagini.

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Ledy 8/10

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