A A proposito di Fuocoammare #2

A proposito di Fuocoammare #2

Dopo aver visto il documentario di Gianfranco Rosi è inevitabile pensare che, in un contesto storico come quello attuale, non poteva esser premiato nessun altro film con l'Orso d'oro alla Berlinale 2016. 

Perchè Fuocoammare è un film NECESSARIO.

Dopo la vittoria alla Mostra d'arte cinematografica di Venezia con Sacro GRA, che ha consacrato non solo Rosi come regista (e profeta, considerata l'attuale situazione di degrado della Capitale), ma anche il documentario come genere che può tenere testa in un concorso di cinematografia di finzione, conquista quest'anno la giuria di Berlino con un film che si rivolge a noi spettatori europei, perchè parla anche di noi.

Rosi si immerge completamente nella realtà lampedusana, scegliendo di focalizzare il punto di vista su due persone: Samuele, ragazzino lampedusano che, nonostante l'habitat naturale, non ha molta dimestichezza con il mare e con le barche. Preferisce, anzi, andare a caccia di uccelli con la fionda e andare a zonzo per la macchia mediterranea alla ricerca del legno migliore per la sua fionda; Pietro Bartolo, medico lampedusano, ginecologo, che cura non solo gli abitanti dell'isola ma anche i migranti che sbarcano, cercando di salvarne il più possibile, per quanto è possibile, mezzi e attrezzature permettendo. Non è forse un caso che Rosi si sia concentrato proprio su due persone che in qualche modo simboleggiano l'atteggiamento degli europei rispetto a quel che accade nel Mediterraneo. Da una parte infatti abbiamo il medico, emblema di chi non è stato insensibile al grido di aiuto di così tante persone che giungono sulle nostre coste nelle peggiori condizioni sia fisiche che mentali (sfido chiunque a non avere un autentico collasso nervoso dopo un viaggio di quella risma). Cerca di aiutare come può, ma è solo, il medico, così come non sono molte le persone che si muovono per aiutare (non parlo solo di volontari, ma anche a livello istituzionale manca la volontà d'agire) . Dall'altra abbiamo il ragazzino che con il suo "occhio pigro" (questa è la diagnosi del suo oculista, il quale gli dice che deve provare a sforzare anche l'occhio sinistro, perché non lavora bene quanto il destro) rappresenta la stragrande maggioranza di tutti noi: un'Europa dall'occhio pigro per lo più inconsapevole di quanto accade, non vedente e non capente. E tuttavia siamo accondiscendenti verso noi stessi: in fondo è un ragazzino, cosa ne può sapere di quello che accade? In fondo noi siamo lontani, cosa ne possiamo sapere noi? Proprio qui interviene l'occhio pigro, metafora dello sguardo distorto che, spesso, si pone rispetto a queste vicende. Samuele tenta di colpire i bersagli senza usare l'occhio sano, ma fa cilecca, sbaglia. Così come noi, nel tentativo di focalizzare la questione, sbagliamo sempre bersaglio, e confondiamo le priorità.Tutto questo accade sullo sfondo di una Lampedusa che non appare come un paradiso in mezzo al Mediterraneo, ma è un'isola invernale, con il mare continuamente in tempesta e dalla forza invincibile.

Non vorrei soffermarmi troppo sui volti dei migranti appena sbarcati o di quelli che non ce l'hanno fatta, perché lo fa già abbastanza la cinepresa di Rosi. Ed è un NECESSARIO pugno nello stomaco. Forse con la speranza che qualche spettatore in sala non abbia l'occhio prigro e che, eventualmente, riesca finalmente a mettere a fuoco quello che sta realmente accadendo. Da vedere.

 

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