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7/10

El Bar regia di Alex De La Iglesia

Thriller
recensione di Enrico Cehovin

 

Madrid. Un gruppo di persone si ritrova intrappolato in un bar sotto assedio. Il loro compito è capire cosa stia succedendo e sopravvivere.

 

Prendi una manciata di persone, mettile in un bar, poni il bar sotto assedio, agita per bene: cosa ottieni? Un giorno di ordinaria follia.

Questa è la miscela che sceglie Álex de la Iglesia per il suo nuovo film, El bar, presentato fuori concorso alla 67ª Berlinale.

Come d'abitudine lo scatenato regista spagnolo inizia a mille: con un piano-sequenza che accompagna i futuri assediati nel bar epicentro della vicenda, svelandoli via via, lasciandoli e riprendendoli, con ritmo incalzante, preferendo tra i tanti Elena (Blanca Suárez) a cui dedica più attenzione. Stacco, controcampo su Elena dall'interno del bar oltre la vetrina: ormai siamo entrati e da qui non usciremo per un bel po'. Dopo qualche chiacchera da bar che ci permettere di conoscere i restanti membri del gruppo, il postino, appena uscito dalla porta, viene abbattuto senza preavviso da un colpo d'arma da fuoco. Il panico dilaga, tutti a terra. Che nessuno si azzardi ad uscire. Nessuno sa cosa sia successo, tutti cominciano a supporre. Ecco il vero fulcro della vicenda: la supposizione.

Facciamo un piccolo passo indietro:  prima di quell'avvolgente piano-sequenza iniziale, de la Iglesia confeziona ancora una cosa allo stesso tempo staccata e parte integrante del film a cui dedica tempo e cura: i titoli di testa. Un serie di immagini si susseguono mentre i nomi degli addetti ai lavori scorrono sullo schermo: sono immagini al microscopio di mitosi, meiosi, proliferazioni cellulari, recettori nervosi in sviluppo, cellule procariote, virus e parassiti. Tutti elementi che lasciano supporre che il film che stiamo per vedere sia di fantascienza. Supporre. Eccolo di nuovo il punto: supporre. Quei titoli di testa non sono avulsi dal film, infatti l'ultima immagine si rimpicciolisce fino a diventare un poster appeso al muro, vicino a una porta da cui esce Elena e da dove ha inizio il sopracitato piano-sequenza.

È questo il gioco di de la Iglesia, che con uno sfondamento della quarta parete rende lo spettatore sospettoso, stimolato continuamente a pensare al peggio, alla teoria complottista, all'attentato chimico, all'insabbiamento di qualche strano esperimento governativo andato male. Lo spettatore diventa tutt'uno con i "clienti" del bar che non si fidano, non solo di chi o cosa ci sia fuori, ma neanche di chi hanno accanto. Guardano con sospetto valigette misteriose e presunti zaini-bomba, nascondono pistole, mentre c'è chi grida apocalittici passi della Bibbia e chi teme in una maledizione lanciata da un passante vittima di un involontario torto subito. Eppure quelle immagini a inizio film di fantascientifico hanno solo la nostra immaginazione. Ma non importa, ne siamo ugualmente vittime.

De la Iglesia tiene un buon ritmo, serrato e virtuoso, che mescola grottescamente horror, azione e commedia nera, mantenendo e dilatando con un semplice ma abile trucco l'unità di luogo. Come di consueto nei suoi lavori, si avverte un calo di ritmo nel secondo tempo, ma il finale in crescendo conclude degnamente l'escalation di tensione, isteria e violenza su cui si sviluppa il film.

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