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8/10

Two Men in Town regia di Rachid Bouchareb

Drammatico
recensione di Enrico Cehovin

Uscito di galera in libertà vigilata l'iracondo William Garnett (Forest Whitaker) ha compreso il suo errore, aver ucciso per un motivo a noi imprecisato il deputy di un marshall (Harvey Keitel), e si rende conto che si trova davanti alla sua ultima occasione per costruirsi una vita semplice da onesto cittadino. Incentivato da un'agente adetta alla libertà condizionale (Ellen Burstyn) che, abituata agli ex-galeotti pieni di buone intenzioni solo a parole, non si fida completamente di lui ma lo sprona a guadagnarsi la sua fiducia, e ostacolato da Keitel che sente la ferita ancora aperta, Whitaker riesce presto a ottenere un lavoro, un appartamento, un conto in banca e un appuntamento (Dolores Heredia).

La sceneggiatura è semplice, quasi retorica, ma ciò che rende "La voie de l'ennemi" un film davvero affascinante è la messa in scena. La macchina da presa fa ampio uso di campi totali che mettono in scena l'aridità del territorio, vero e proprio luogo dell'anima del protagonista, immerso nel deserto quasi totalmente privo di urbanizzazione, dove niente è ancora stato costruito, dove regna il nulla. Proprio come la vita dell'ex-detenuto. Anche la religione offre un conforto limitato, come lascia intuire il totale dell'interno della moschea, ambiente bianco e vuoto, simbolo della progressiva perdita di fede del protagonista nella religione ma anche nella sua stessa riuscita. I dosatissimi primi piani ottengono in questo modo un'energia dirompente e valorizzano ulteriormente la bravura e la presenza scenica di Whitaker.

La fotografia apporta un contributo fondamentale nel determinare l'aridità dell'ambiente (e della situazione): è taratissima nei suoi colori quasi assenti, fortemente desaturati, dove tutto tende al bistro, salvo poi introdurli nel finale con un tripudio di tinte calde in cui predominano rosso e arancione.

Si viene così a creare un clima di antispettacolarità da cui traggono forza i personaggi quasi banali che risultano così estremamente reali e limitati nei movimenti sia fisici che sociali. Così il protagonista cerca di fuggire all'immobilismo societario a cui è soggetto, comprandosi una moto, unico assaggio di libertà che gli è concessa.

Tramonto, notte e alba - con momenti di preghiera annessi - sono un altro gruppo di simboli che ribadiscono il tempo che si sta esaurendo, il momento più buio e la "rinascita" finale.

Il film di Rachid Bouchareb si apre con un riferimento esplicito a Sentieri Selvaggi per poi chiudersi con uno a 2001: Odissea Nello Spazio, arricchendo ulteriormente il messaggio, definendo protagonista, natura e società ancora primitivi, proprio come per i primati del prologo del film di Kubrick.

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