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10/10

The Look Of Silence regia di Joshua Oppenheimer

Documentario
recensione di Enrico Cehovin

Nel 1965 il governo indonesiano è stato deposto da un colpo di stato militare.

Chiunque si opponeva alla dittatura poteva essere accusato di essere comunista: sindacalisti, contadini, intellettuali, e la minoranza etnica cinese.

In meno di un anno e con l'aiuto diretto di alcuni governi occidentali, fu massacrato più di un milione di “comunisti”.

L'esercito si servì di paramilitari e criminali per compiere gli omicidi.

Da allora quegli uomini sono stati al potere ed hanno perseguitato gli oppositori.

Questo film documenta questa esperienza con tutte le sue conseguenze.

Dopo "The Act Of Killing", presentato alla 63ª Berlinale, il regista danese Joshua Oppenheimer ritorna sullo stesso argomento con "The Look Of Silence", documentario in concorso alla 71ª Mostra Internazionale del cinema di Venezia e insignito del Gran Premio Della Giuria.

Già dall'inizio ci si rende conto che "The Look Of Silence" non è un seguito di “The Act Of Killing”, bensì un'opera ad esso complementare che vive di vita propria. La premessa, le didascalie che spiegano allo spettatore lo stretto necessario per orientarsi nel documentario, sono le stesse della sua controparte: in Indonesia nel 1965, in seguito a un colpo di stato, un milione di comunisti o presunti tali, furono sterminati dalla dittatura istituita dal partito opposto. Partito attualmente ancora governante.

Mentre "The Act Of Killing" segue i carnefici ancora in vita, orgogliosi del loro passato, nel mettere in scena dettagliatamente le torture che venivano all'epoca veramente praticate attraverso un film nel film di propaganda, "The Look Of Silence" guarda l'altra faccia della medaglia e si concentra sulle conseguenze di quegli eventi dal punto di vista delle vittime, prendendo come campione una famiglia a cui è stato ucciso un figlio, Ramli. Adi, fratello di Ramli, incontra una ad una le persone coinvolte nella vicenda, dai mandanti fino agli esecutori stessi, più precisamente la famiglia di uno di loro ormai deceduto. Se "The Act Of Killing" mette in luce la mancanza di pentimento per le azioni compiute in passato dagli assassini che, anzi, si autocelebrano come eroi, "The Look Of Silence" mostra le reazioni dei parenti delle vittime nel vedere e sentire le registrazioni dei racconti dei massacratori che descrivono le truculente pratiche che adottavano con i condannati. E va oltre. Mostra le reazioni dei carnefici stessi quando scoprono che il loro interlocutore è parte lesa, un parente prossimo delle vittime di cui si sono macchiati. Non a caso l'immagine che apre il film, usata anche come locandina, ci mostra uno dei boia con addosso un paio di occhiali di prova che gli ingrandiscono i bulbi oculari, esattamente come il documentario è la lente attraverso cui lo spettatore può guardare più approfonditamente, negli occhi, i carnefici, studiarli più nel dettaglio, come al microscopio. Tutto attraverso stretti primi piani che catturano ogni espressione, reazione ed emozione. È così che si sprigiona la straordinaria forza cinematografica di "The Look Of Silence" che emoziona lo spettatore, rapito dall'unicità del documento, basito, stordito e allo stesso tempo attratto dalla dirompente carica che quei preziosi fotogrammi portano in sé. Una carica impressa nelle immagini, solo in un secondo momento nell'audio. Perché le reazioni verbali, controllate, il discolparsi, in non voler parlare, arrivano in un secondo momento, ma sono quelle involontarie delle espressioni del volto che non possono essere trattenute e vengono catturate per sempre dalla macchina da presa.

Questa esperienza, straziante e sconvolgente, ancor più intensa e coinvolgente della precedente, si chiude con un'immagine, dei bachi da seta tenuti nel palmo di una mano che si muovono, lottano, ma sono ancora incapaci di diventare farfalle, simbolo che suggerisce l'impossibilità degli indonesiani di parlare liberamente del passato, ancora immersi nel terrore degli sterminatori vicini di casa, e allo stesso tempo allude alla possibilità ancora latente di nuove future purghe. A rendere il tutto ancor più drammatico e reale, esattamente come succede in “The Act Of Killing”, fa rabbrividire la lunga lista di collaboratori al film che nei titoli di coda preferiscono non comparire per evitare ripercussioni, lasciando posto nelle caselle a loro dedicate a un meno pericoloso “anonymous”.

V Voti

Voto degli utenti: 10/10 in media su 2 voti.
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alejo90 10/10
Upuaut 10/10

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