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1/10

Box Office 3D - il film dei film regia di Ezio Greggio

Commedia
recensione di Antonio Falcone

Tra trailer ed improbabili sequel, una serie di sketch volti a parodiare i vari blockbuster americani, partendo da Il Codice da Vinci  e passando per Avatar, finendo con Harry Potter ed intervallando con lo sfottò di “vecchi miti”, come Zorro e 007.

 

Da tempo non mi succedeva di uscire dal cinema con un forte senso d’imbarazzo, per di più misto a rabbia e sensazione di essere stato offeso nella mia dignità di spettatore, come dopo la visione di Box Office 3D-Il film dei film, ultima regia di Ezio Greggio, a 12 anni di distanza da Svitati (seguente a Killer per caso, ’97 e al suo esordio dietro la macchina da presa, Il silenzio dei prosciutti, ’94). Veramente un brutto film, diretto male ed interpretato peggio, becero amalgama tra goliardia e carnevalata, senza avere la gioiosa spensieratezza dell’una e la dimensione artistica dell’altra, riducendo e stravolgendo il concetto e il senso della parodia in una serie di sketch stantii, dal sapore fortemente televisivo, che, pur volendo concedere l’attenuante della buona fede, non solo con il cinema non c’entrano un bel niente, ma neanche suscitano la benché minima sorpresa o invito al riso.

Fa senso sentire poi citare, tra inverecondia e faccia di tolla, Totò, i mai troppo compianti Franco Franchi e Ciccio Ingrassia o, andando fuori dall’ Italia, Mel Brooks e gli Zucker: quelle parodie di cui erano interpreti o registi, almeno prima delle varie derive, si facevano forza di una sceneggiatura capace di sfruttare l’integrità narrativa dell’opera originale, sapendone cogliere i lati deboli e traducendoli in valide gag, ovviando alle lacune con studiata improvvisazione e contando sull’affiatamento dell’intero cast, con solidi caratteristi, oltre che di una direzione, per quanto a volte debole o limitata alla stretta funzionalità, prodiga comunque a contenere le derive della volgarità o della grossolanità, pur attingendovi, sempre con misura.

Certo, lo sappiamo tutti, i principi della risata sono la botta in testa e la caduta, così come abbiamo appreso negli anni che ulteriori arricchimenti di una comicità slapstick possono essere il nonsense o il gioco surreale, ma gli sceneggiatori (lo stesso Greggio, Fausto Brizzi, Marco Martani, Rudy De Luca, Steve Haberman) qui non si sforzano minimamente di adattare questa classicità all’inventiva, limitandosi a scimmiottare pedissequamente, nel tentativo d’irridere i più famosi blockbuster americani, tra siparietti autoconclusivi e finti trailer, situazioni già viste, a volte anche volgarotte o fini a se stesse (Viagratar) banalizzando i tempi comici e riducendo la presenza di bravi attori (tra i tanti, Ric, Maurizio Mattoli, Gianfranco Jannuzzo, Gigi Proietti, Enzo Salvi, Biagio Izzo, Antonello Fassari) a semplice comparsata, caratterizzata sempre sul filo dell’ovvio e della coazione a ripetere.

Tra un Gladiator 2 ed un Harry Sfotter e l'età della pensione, dove Anna Falchi si concede l'impossibile, dare il peggio di sé, mischiando e rimischiando, raschiando e accumulando, con qualche blando riferimento alla realtà, vagamente satirico, si arriva ad un finale pretestuosamente e presuntuosamente metacinematografico, appena ravvivato dalla presenza di Gina Lollobrigida, che si risalta su tutti, essendo l'unica a non recitare sul serio, e da una battuta decente, ripetuta in forma di didascalia, "Viva il cinema", a risaltare tristemente come la vera, concreta, forma parodica dell'intero film.

Da segnalare un 3D francamente inutile, poco importa se sia o meno la prima produzione italiana, visto l'uso pedestre che se ne fa e, ciliegina sulla torta, l'avergli affidato la preapertura, fuori concorso, della 68a Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, a dimostrazione che non solo Dio esiste, ma estrinscesa i suoi favori nelle sue forme più insolite.

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