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6/10

Sorelle Mai regia di Marco Bellocchio

Drammatico
recensione di Alessandro Giovannini

La vita della famiglia Mai, composta da Giorgio, attore senza successo, la sorella Sara che tenta anch'essa una strada nel mondo dello spettacolo, la figlia di lei Elena che è accudita da due zie/sorelle residenti nell'antica magione di famiglia a Bobbio, più un amico di famiglia che si occupa dell'amministrazione della casa.

Nato dalle sperimentazioni condotte da Bellocchio con i suoi studenti di Fare Cinema presso Bobbio, paese natale del regista che ospita tra l'altro un festival annuale di cinema indipendente, è un film suggestivo e misterioso, forse il primo esempio di compiuta postmodernità nel cinema italiano.

Composto di 6 episodi, che si dipanano tra il 1999 ed il 2008 (e sono stati girati nei rispettivi anni, per un totale di circa un decennio di lavoro) il film è sconnesso, pieno di ellissi, enigmatico ed affascinante. La sua attrattiva risiede innanzitutto nell'ambientazione: rigirando nei luoghi del suo scioccante film d'esordio I pugni in tasca, Bellocchio sembra voler chiudere i conti, a quarant'anni di distanza, con un fantasma che è ancora lì: il film è inframezzato da frammenti della pellicola sovracitata, quasi a rendere la casa di Bobbio (set di entrambi i film nonchè casa del regista stesso) un'abitazione stregata da uno spettro filmico assetato di ri-proiezione.

Tutti i personaggi principali del film sono parenti del regista: figli, nipote e sorelle. Proprio queste ultime danno il titolo al film: sorelle che (nel film come nella realtà) non hanno mai abbandonato la casa natìa perchè non si sono mai sposate, e rimangono testimoni, allora come oggi, di situazioni conflittuali e disturbanti all'interno del nucleo famigliare (e non solo). Certo le stridenti cotrapposizioni fra individui non si traducono più in pulsioni tanato-incestuose come ne I pugni in tasca, ma si fanno forse più sotterranee e meno evidenti, all'insegna del non detto, del rimpianto, di un'amarezza esistenziale.

In tutto questo, sorprendentemente, ecco che Bellocchio inserisce parentesi di inaspettato umorismo (come l'episodio del consiglio di classe in cui una professoressa, interpretata da Alba Rohrwacher, si batte per la promozione di uno studente pusillanime) o di spiazzante, magico mistero (il finale, mistico ed emozionante, un colpo di genio registico).

Il tutto senza trascurare la vivace realizzazione tecnica: girato con svariati modelli di handycam digitali, quindi con gradi di definizione diversi, fotografia sgranata e spesso fuori fuoco, girato a colori eppure spesso così simile ad un film in B/N per le sue scale di blu e di grigi, autocitazionista, diegeticamente frammentario.

Cinema postmoderno italiano, da vedere preferibilmente dopo il film del 1965.

V Voti

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