Pirati Dei Caraibi. Oltre I Confini Del Mare regia di Rob Marshall
AvventuraIl capitano Jack Sparrow conosce l’ubicazione della mitica fontana della giovinezza, al cui ritrovamento sono interessati, per motivi diversi, gli spagnoli, il re d’Inghilterra Giorgio II, che allo scopo ha assoldato il pirata, ora corsaro, Barbossa, il famigerato bucaniere Barbanera e sua figlia Angelica, ex fiamma di Sparrow.
Presentato fuori concorso nei giorni scorsi al 64mo Festival di Cannes, Pirati dei Caraibi-Oltre i confini del mare è il quarto capitolo della fortunata saga inaugurata, felicemente, dalla Disney nel 2003 con La maledizione della Prima Luna, film col quale, ispirandosi ad un’attrazione del suo noto parco divertimenti, riusciva a riportare in auge il genere piratesco, da troppo tempo riposante sui classici allori della Hollywood del tempo che fu, grazie alla regia di Gore Verbinski, particolarmente a suo agio nel mischiare gli elementi tipici del citato genere (duelli, inseguimenti in mare aperto, romanticismo) con altri di diversa estrazione “fantasy” incastonati in una valida sceneggiatura, e all’istrionismo dell’attore Johnny Depp, che conferiva al suo Jack Sparrow un insolito tocco, un po’ guascone d’antan (Douglas Fairbanks ed Errol Flynn) e un po’ rockettaro (Keith Richards, non a caso padre del pirata nella serie, a partire dal terzo episodio).
Ora, dopo due sequel che, l’ultimo in particolare, hanno visto affievolirsi man mano l’inventiva originaria, poggiando le basi su una, inevitabile quanto insistita e ricercata, ripetitività dai toni seriali, l’ultima realizzazione apporta qualche novità, purtroppo essenzialmente formale: il cambio alla regia, Rob Marshall al posto di Verbinsky, la “scomparsa” di Orlando Bloom e di Keira Knightely, rimpiazzata da Penelope Cruz, nel ruolo di Angelica, e la possibilità di visionare il film in 3D (io l’ho visto in 2D, senza rimpiangere nulla); Ted Elliot e Terry Rossio sono autori della sceneggiatura , sulla traccia del romanzo Mari stregati di Tim Powers (Fanucci Editore).
Costruito coreograficamente come una tronfia carnevalata, dalla durata eccessiva, Pirati dei Caraibi-Oltre i confini del mare affonda sempre più giù, precipitando negli abissi della noia, colpito a morte dalle micidiali cannonate della mancanza di qualsivoglia estro creativo: tutto è già visto, impietosamente sfruttato, una mescolanza visiva che congloba vari generi nel solito calderone della vacua spettacolarità, essenzialmente fine a se stessa, volta ad irretire nella sua meccanicità più che coinvolgere, senza un minimo di epicità, tra convulse scene d’azione, musica “a palla”, ritmo, al solito, ondivago e in crescendo esagitato nel finale; unica trovata di un certo effetto, l’inquietante entrata in scena delle sirene.
Riguardo le prove attoriali, si va dal gigioneggiare, pur sublime, di Geoffrey Rush nei panni di Barbossa, alla piattezza incolore di Ian McShane, un Barbanera attrazione da baraccone, passando per le pose e le moine della Cruz, che prende alla lettera, favorita dalle inquadrature di Marshall, l’espressione “vento in poppa”, finendo con Depp, sempre più caricatura del personaggio che interpreta, ridotto a marionettistica macchietta, i soliti ammiccamenti, le mossette che ti aspetti, studiate leziosità ormai manieristiche. Infine, quello che sulla carta sembrava promettere scintille, i trascorsi amorosi tra Sparrow e Angelica, si riducono a un flebile, tiepido, tira e molla sentimentale, tra insipidi battibecchi ed insulse battutine, come appare irrisolto e sin troppo odoroso di “Sirenetta” (tutto fa brodo) il coup de foudre tra una donna pesce ed un reverendo particolarmente incline al “bene effimero della bellezza”. Ovviamente, emozione e febbrile attesa, è in cantiere il numero cinque, tanto basterà ancora una volta spiegare le vele della reiterazione, ammainare quelle della fantasia e via, di nuovo all’arrembaggio del botteghino.
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