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R Recensione

5/10

Nine regia di Rob Marshall

Musicale
recensione di Fulvia Massimi

Il “maestro” Guido Contini, a Roma per dirigere il suo ultimo film, non sa da che parte cominciare. Manca il copione e mancano le idee, le donne della sua vita gli affollano la mente più dei pensieri, osessionandolo e trascinandolo nel baratro dell’aridità creativa. Ma sarà proprio grazie a loro (e ad una “contraddizione in termini”) che Guido ritroverà l’ispirazione perduta.

Rob Marshall vorrebbe rifare , ispirandosi al musical di Mario Fratti portato a Broadway da Arthur Kopit e Maury Yeston, ma il suo Nine non ha la profondità del capolavoro felliniano nè le potenzialità per bissare il successo di Chicago. Il cast strepitoso non può nulla contro una pellicola che banalizza la ricchissima riflessione metafilmica del regista riminese e gli accuratissimi numeri musicali (coreografati dallo stesso Marshall) non hanno l’appeal di quelli interpretati nel 2002 da Renée Zellweger, Catherine Zeta-Jones, John C. Reilly, Queen Latifah e Richard Gere.

Pur offrendo una performance degna del suo talento, Daniel Day-Lewis conserva del Guido Anselmi di Marcello Mastroianni soltanto gli aspetti più infantili e danzerini, l’attitudine a non prendersi mai sul serio, a giocare con la verità e con i sentimenti di chi gli sta intorno, costantemente immerso in un’immaginazione senza confini. Eccessivamente tormentato ed eccessivamente “mammone” (scompare la figura del padre defunto ma resta la madre, interpretata qui da Sophia Loren), il Guido Contini di Day-Lewis traduce troppo spesso ad alta voce l’angoscia per il suo fallimento, rendendo fin troppo esplicito il senso di soffocamento silenzioso di Mastroianni nell’incipit di .

Penélope Cruz, amante svampita, carnalissima e conturbante, manca della spontaneità che caratterizzò a suo tempo la Carla di Sandra Milo ma il suo numero musicale con corda e body di pizzo le garantisce la terza nomination agli Oscar. Nell’incarnare la musa eterea ed evanescente di Contini (una fresca Claudia Cardinale nell’originale), Nicole Kidman diventa decisamente reale, portando sulla scena i conflitti di un amore irrisolto e crudele. Judi Dench, costumista parigina con caschetto castano, fa forse le veci di Rossella Falk e a Kate Hudson sono affidati i panni dell’inutile personaggio di Stephanie, cronista di moda che ha il solo merito di interpretare uno dei pezzi più canticchiabili del film, Cinema Italiano. Marion Cotillard prende il posto che fu di Anouk Aimèe e la rottura col marito è definitiva e totale, nel suo spogliarsi completamente e letteralmente di tutti i sentimenti (nonché dei vestiti).

Tutto ciò che in Fellini era taciuto e sotteso diventa manifesto e quasi esasperato. Alle emozioni sopite viene data fin troppa voce e più che cantate finiscono con l’essere urlate. Persino l’incontro con il Monsignore “durante la cura dei panni” perde tutta la spiritualità e l’ermetismo dell’originale, trasformandosi in un dibattito sulla (a)moralità e l’eccessiva sensualità dei film di Contini – che ritorna come un refrain all’interno della pellicola – come se “essere italiani” (è il titolo della canzone interpretata da Fergie/Saraghina) significasse soltanto strizzare seni, fare all’amore, essere cantanti e amanti.

La pellicola di Marshall (sceneggiata da Michael Tolkin ed Anthony Minghella) si apre sulla conferenza stampa che in segnava la morte del film di Guido e sulla parata di donne con cui Mastroianni sognava di creare un harem nella sua vecchia casa d’infanzia. L’universo rutilante e musicale di Contini resta un circo che non smette mai di girare (eppure manca l’affascinante coppia di telepati-prestigiatori Ian Dallas-Mary Indovino) ma il carosello finale messo in piedi dallo Snaporaz felliniano e da tutti i suoi comprimari viene sostituito in Nine dal primo ciak del film di una vita, quel film che né Fellini né Anselmi sarebbero mai riusciti a realizzare veramente (e che un numero pieno non è certo sufficiente a concretizzare).

 

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
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alexmn 5/10

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