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7/10

The Kingdom of Dreams and Happiness regia di Mami Sunada

Documentario
recensione di Alessandro Giovannini

Una regista si intrufola negli uffici dello Studio Ghibli durante la lavorazione parallela di Si alza il vento (The Wind Rises) di Hayao Miyazaki e The Tale of Princess Kaguya di Isao Takahata.

Appassionati di animazione giapponese, unitevi! Il documentario che aspettavate è arrivato! Scherzi a parte, gli entusiasti dello Studio Ghibli avranno pane per i loro denti. La regista di documentari mami Sunada ha avuto il privilegio di accedere agli uffici dove Miyazaki ed i suoi lavorano, peraltro durante la realizzazione di quell oche dovrebbe essere l'ultimo lavoro di Miyazaki da regista: Si alza il vento. Molte le chicche regalateci dal documentario, dalla scansione della giornata lavorativa in blocchi separati da esercizi ginnici (condotti a tempo di audiocassetta), al campionario di persone che lavora o gravita attorno allo studio oltre al reparto artistico - in primo luogo il produttore Toshio Suzuki, indefesso tuttofare che passa le giornate a discutere con avvocati, grafici, pubblicitari, giornalisti e quant'altro. Inoltre, quanti di voi sapevano che a doppiare il protagonista di si alza il vento è Hideaki Anno, creatore della celebre serie animata neon Genesis Evangelion, e che lo stesso Anno in passato aveva già collaborato con Miyazaki per il design di un personaggio di Nausicaä della Valle del vento? Questa e molte altre piacevoli scoperte vi attendono, ma soprattutto il film ci permette di assistere a quegli intimi momenti che segnano la vita di un creativo all'opera: i disegnatori che, con un foglio sopra l'altro, si assicurano della perfetta fluidità dei movimenti dei personaggi; i software che permettono di avere un'animazione dei disegni in tempo reale; Miyazaki che ultima lo storyboard del film ed i pacatissimi, consequenziali festeggiamenti. E poi Il Miyazaki privato, intervistato nell'atelier personale in cui si ritira dopo il lavoro in ufficio, che parla di una moltitudine di argomenti, dal risentimento verso la deriva conservatrice promossa dal governo di Shinzo Abe alle sue contraddizioni umane (appassionato di velivoli militari e al tempo stesso fortemente pacifista), dalla serena consapevolezza di non poter continuare a lavorare per sempre e che in fondo "Ghibli" è soltanto un nome scelto a caso e che il mondo può continuare anche senza il suo Studio, alle opinioni circa lo scopo dei film di animazione, contenitori di sogni e follie dei loro artefici.

Su tutto ciò aleggia, con un alone di mistero, la figura spesso evocata ma ben poco mostrata di Isao Takahata; Miyazaki lo nomina almeno una volta al giorno, ci dice la voce narrante della regista; eppure i due lavorano ormai in reparti separati dello Studio, ognuno con i propri progetti in mente. Takahata, co-fondatore dello Studio Ghibli ed in un certo senso mentore di Miyazaki (più vecchio di lui, lo prese sotto la sua ala quando lavoravano insieme alla Toei, colosso dell'animazine nipponica) è a volte denigrato, a volte esaltato da Miyazaki: due menti creative che un po' si attraggono e un po' si respingono, ma sicuramente si rispettano. E' spesso esilarante ascoltare Miyazaki lagnarsi della cronica noncuranza di Takahata verso le scandenze e l'ordine in ufficio, ed un attimo dopo esaltarlo come genio artistico: sembra di assistere ai battibecchi di una vecchia coppia che in fondo non può vivere separatamente. Anche se noi sentiamo solo una campana dato che come detto Takahata appare pochissimo, giusto per congratularsi con Miyazaki per aver concluso il film. Pur essendo il documentario piuttosto piatto a livello di scelte registiche, il che lo fa assomigliare molto ad un normale prodotto televisivo, i momenti emozionanti non mancano; basti vedere come, finita la giornata lavorativa, tutto il team salga sul tetto dell'ufficio ad ammirare il tramonto per capire che non si tratta di un lavoro monotono ed alienante come molti altri: lo Studio Ghibli è la ricerca di purezza e semplicità, nelle opere che crea quanto nei rapporti umani che si instaurano al suo interno, ed è un privilegio poter, seppur brevemente, sbirciare dal buco della serratura - o meglio dall'occhio della videocamera - di questo piccolo mondo.

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