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7/10

La Collina dei Papaveri regia di GORO MIYAZAKI

Animazione
recensione di Fabrizia Malgieri

Yokohama 1963. La liceale Umi vive il suo primo amore con il coetaneo Shun, il direttore idealista del giornale scolastico, impegnato a salvare un antico edificio della scuola. Sullo sfondo delle prime manifestazioni studentesche e di una Tokyo ad un anno dalle Olimpiadi del 1964, la storia d’amore dei due giovani subisce una brusca frenata dopo una traumatica scoperta, che ha le sue radici nella Guerra di Corea.

Miyazaki Jr. ci riprova e questa volta colpisce nel segno. Dopo la deludente opera prima I racconti di Terramare – pellicola fantasy liberamente ispirata ai due romanzi della scrittrice statunitense Ursula K. Le Guin, L'isola del drago e I venti di Earthsea – il legittimo erede dello Studio Ghibli confeziona questa volta una delicata storia d’amore, che vive sull’animato sfondo delle movimentazioni studentesche del Giappone anni Sessanta. Sceneggiato dalla coppia Hayao Miyazaki-Keiko Niwa, La collina dei papaveri non si limita tuttavia al “facile” romanticismo da shōjo (per i neofiti, ci riferiamo a quel genere manga di tipo sentimentale, rivolto agli adolescenti). Seppur il travagliato idillio amoroso tra Umi e Shun rappresenti l’effettivo fil rouge della vicenda, la pellicola di Goro Miyazaki risulta soprattutto un revival appassionato e nostalgico degli anni d’oro del liceo e delle contestazioni studentesche. Un ricordo che rivive attraverso l’esperienza degli studenti del film, animati dal desiderio di diventare futuro, e uniti per salvaguardare il polveroso ma culturalissimo Quartier Latin, un vecchio edificio scolastico adibito a sede dei club culturali, che rischia di essere demolito per volontà del direttore della scuola. Ed è difficile non cogliere la metafora racchiusa nel simbolico Quartier Latin: quella di un Giappone seppellito per anni dalla devastazione della Seconda Guerra Mondiale, ma finalmente  pronto ad una rinascita quanto mai vicina (le Olimpiadi del 1964 ne sono una prova), e al tempo stesso carico di un passato glorioso.

Ancora una volta lo Studio Ghibli regala al mondo (soprattutto quello occidentale) un affresco interessante sulla storia e la cultura tradizionale nipponica, quest’ultima rappresentata dalla giovane Umi, simbolo dell’importante contributo delle giovani donne alla collettività familiare, fatta di gesti e rituali quotidiani. Una tradizione, quella di Umi, che va inevitabilmente a scontrarsi con il progresso, incarnato dal passionale Shun, in un’interessante dicotomia che ancora oggi caratterizza tutto il Giappone. Arricchito da fondali di rara bellezza e da una cura maniacale nella caratterizzazione dei personaggi, La collina dei papaveri trova nelle musiche di Satoshi Takebe uno dei suoi punti di forza: cadenzata da ritmi jazz frenetici e da melodie ricolme di sentimento nazionale, la colonna sonora rafforza quell'insistente dualismo tradizione-progresso che si respira nel corso di tutta la pellicola sublimandola.

La collina dei papaveri è un delicato film d’animazione (sfortunatamente si può gustare un solo giorno nelle sale, il 6 novembre), che fa certamente ricredere nel potenziale del più giovane dei Miyazaki, e dimenticare una pellicola (disastrosa) come I racconti di Terramare, probabilmente precoce per un autore ancora acerbo e all’ombra di un padre troppo illustre con cui reggere il confronto.

V Voti

Voto degli utenti: 7,7/10 in media su 3 voti.
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